Il testo, ancora in bozza, dello Sviluppo Economico inserisce nella
complessa partita delle liberalizzazioni una norma che prevede l'abrogazione
dell'articolo 17
di MASSIMO MINELLA
A volte basta davvero poco per fare tanto male. E non si riesce nemmeno a capire se stavolta sia più il desiderio di demolire qualcosa che semplicemente tiene in piedi la portualità, come il lavoro, oppure se è semplice e preoccupante insipienza. Provate a dare un'occhiata alla bozza che il ministero dello Sviluppo Economico ha preparato: una lenzuolata di liberalizzazioni che inseriscono, buon peso, anche alcune norme di riforma della portualità.
In particolare l'articolo 20 che, al punto 4, ha un
contenuto tanto sintetico quanto sbalorditivo:
"L'articolo 17 della legge
84-94 è abrogato. Gli affidamenti diretti dei servizi di questo articolo
cessano entro il 31 dicembre 2015". Fine. Con sole due righe, questo
testo, che è ancora in forma di bozza ma che già circola, cancella le compagnie
portuali, che operano in porto da secoli e che dal '94, data di entrata in
vigore della legge sulla portualità, lavorano in virtù dell'articolo 17. Entro
fine anno non esisteranno più, o meglio potranno offrirsi al mercato come
qualsiasi altro soggetto.
Con la semplice differenza che lavorare in porto non è
propriamente qualcosa che si può improvvisare da un giorno all'altro, ma
richiede formazione continua e professionalità assoluta, vista la sua
pericolosità. Ma non è tutto perché qualche riga più sopra lo stesso testo
cancella anche le imprese che operano secondo l'articolo 16 (a Genova la
"Pietro Chiesa").
Più niente di tutto quanto sta reggendo in piedi la
portualità moderna, quella che si affida al "patto del lavoro" fra
imprese e compagnie, reggerebbe alla forza di questa operazione e sarebbe
deregulation totale e assoluta.
Ma davvero si vuole riformare la portualità in questo modo?
Sorprende anche il metodo seguito per mettere mano a uno dei comparti
fondamentali dell'economia di questo Paese, che la politica ha sempre denigrato
o messo in secondo piano. Da otto anni giacciono nelle commissioni parlamentari
proposte di modifica della legge di riforma del '94, quella che doveva gestire
la transizione fra vecchia e nuova portualità. La precedente legislatura aveva
quasi concluso l'opera, con un testo che era stato approvato dal Senato. Alla
Camera, però, tutto si era inceppato. Ora si ricomincia daccapo.
Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi garantisce la sua
volontà a riformare i porti e crea una cabina di regia con esperti e consulenti
che dovrebbe mettere mano alla materia. Benissimo.
In parallelo, però, lo
Sviluppo Economico entra nel merito di alcuni questioni-chiave, ma lo fa
all'interno di un complesso di norme che nulla hanno a che vedere con le
banchine. In tutto questo, spunta una nuova, devastante ipotesi: commissariare
le autorità portuali fino alla riforma.
"Questa logica di riformare a colpi di decreti e di
commissariamenti è davvero inaccettabile
- spiega Mario Tullo,
parlamentare genovese del Pd e capogruppo in commissione Trasporti - La
legge 84-94, che pure ha permesso alla portualità di crescere, merita
sicuramente di essere cambiata, ma questo non può avvenire con colpi di mano.
Ci sono temi delicati, le nomine dei presidenti, la governance delle autorità,
il ruolo dei terminalisti e quello del mondo del lavoro, la durata e la natura
delle concessioni.
Potremmo continuare a lungo, ma il senso di tutto questo non
cambia: con la portualità non si può scherzare. A metà febbraio il decreto che
istituisce il comitato tecnico scientifico del ministro Lupi scade.
La Repubblica di Genova 21 gennaio 2015
NOTA DI FAQTrieste:
Dopo il Secolo XIX anche Repubblica edizione di Genova affronta il tema del colpo di mano sulla riforma portuale da parte del Ministero dello sviluppo Economico con il ministro Federica Guidi. Il PICCOLO di Trieste ( legato al gruppo Espresso Repubblica ) continua a tacere e ad appoggiare la linea del commissariamento dell'Autorità Portuale di Trieste.
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