Chissà se Sergio Costalli, presidente della Camera di
Commercio, si sarà di recente riletto
le pagine della storia della città e
magari si sarà immedesimato nel granduca Leopoldo II, quando tre giorni fa, in
giunta camerale, ha lanciato l'idea di trasformare Livorno in porto franco.
«L'obiettivo, in un momento così critico per l'economia
della nostra città, è quello di attirare le imprese dando qualcosa che altrove
nel nostro Paese non possono trovare: agevolazioni fiscali importanti che
arrivino fino all'esenzione», dice Costalli, ricordando tanto quando nel 1834
il granduca ordinò l'allargamento dell'area del porto franco per andare
incontro a chi vedeva nell'ampliamento delle franchigie doganali un rilancio
per le attività portuali. Centottanta anni dopo l'idea è non solo rivolta alle
operazioni portuali ma soprattutto a nuovi insediamenti produttivi. E non a
caso l'area individuata parte dal porto e arriva nel retroporto fino
all'interporto, nella piana di Guasticce.
«La giunta camerale - spiega Costalli - ha dato
mandato al direttore Giuntoli di produrre uno studio di fattibilità per
realizzare in porto, ma anche nelle aree retrostanti fino a Guasticce, un
corridoio con facilitazioni fiscali. La finalità è un regime di fiscalità non
opprimente come quello italiano, per attrarre investimenti, che riguardi non
solo le operazioni di deposito e movimento delle merci, ma anche la lavorazione
e la produzione». Utopia? «A Trieste esiste qualcosa di simile, vista la
situazione critica della città, crediamo ci siano le condizioni per tentare
un’operazione di questo tipo. Una cosa è certa: i soldi a cui lo stato
rinuncerebbe, gli tornerebbero successivamente. La pecora va tosata, non
uccisa».

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