giovedì 20 novembre 2014

PORTO LIVORNO AGEVOLAZIONI FISCALI COME A TRIESTE

Come stiamo documentando da quando abbiamo aperto questo blog sono sempre gli altri scali e le altre città a conoscere e tentare di applicare quella situazione che Trieste e il suo porto hanno di diritto ma che non viene valorizzata - L'ultimo in ordine di tempo è il porto di Livorno:

Chissà se Sergio Costalli, presidente della Camera di Commercio, si sarà di recente riletto
le pagine della storia della città e magari si sarà immedesimato nel granduca Leopoldo II, quando tre giorni fa, in giunta camerale, ha lanciato l'idea di trasformare Livorno in porto franco.

«L'obiettivo, in un momento così critico per l'economia della nostra città, è quello di attirare le imprese dando qualcosa che altrove nel nostro Paese non possono trovare: agevolazioni fiscali importanti che arrivino fino all'esenzione», dice Costalli, ricordando tanto quando nel 1834 il granduca ordinò l'allargamento dell'area del porto franco per andare incontro a chi vedeva nell'ampliamento delle franchigie doganali un rilancio per le attività portuali. Centottanta anni dopo l'idea è non solo rivolta alle operazioni portuali ma soprattutto a nuovi insediamenti produttivi. E non a caso l'area individuata parte dal porto e arriva nel retroporto fino all'interporto, nella piana di Guasticce.

«La giunta camerale - spiega Costalli - ha dato mandato al direttore Giuntoli di produrre uno studio di fattibilità per realizzare in porto, ma anche nelle aree retrostanti fino a Guasticce, un corridoio con facilitazioni fiscali. La finalità è un regime di fiscalità non opprimente come quello italiano, per attrarre investimenti, che riguardi non solo le operazioni di deposito e movimento delle merci, ma anche la lavorazione e la produzione». Utopia? «A Trieste esiste qualcosa di simile, vista la situazione critica della città, crediamo ci siano le condizioni per tentare un’operazione di questo tipo. Una cosa è certa: i soldi a cui lo stato rinuncerebbe, gli tornerebbero successivamente. La pecora va tosata, non uccisa».




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