martedì 25 novembre 2014

ANTONIO GURRIERI RISPONDE ALLE DOMANDE PUBBLICHE DI FAQTRIESTE


Faq Trieste

DOMANDE PUBBLICHE AI CANDIDATI DELLA TERNA PER LA PRESIDENZA DELL’AUTORITA’ PORTUALE DI TRIESTE
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RISPONDE   il dott. Antonio GURRIERI  


Premesso che trovo singolare questa Vostra iniziativa giornalistica, in quanto, come noto, l’indicazione nell’ambito di una terna di candidati alla presidenza di un porto, se pur fatta nei termini di legge, di per sé non conferisce alcun titolo alle persone coinvolte di assumere posizioni e/o impegni relativi alla carica fino a quando questa non venga formalmente perfezionata, mi fa comunque piacere rispondere alle Vostre domande, se non altro per contribuire fattivamente al dibattito che avete deciso di aprire sui media.

Di seguito, Vi fornisco alcune riflessioni e considerazioni a riscontro puntuale delle Vostre
domande, precisando che il tutto trae spunto primario dalla mia diretta esperienza in campo, ovviamente con un taglio prettamente tecnico, ma indirizzato in chiave strategica ed in linea con il ruolo che un presidente del porto deve esercitare per la crescita e lo sviluppo del comprensorio, tenuto conto del mercato, delle esigenze economiche, produttive e sociali del territorio, nonché della necessità di condividere azioni e programmi con gli altri soggetti istituzionali, sia locali che nazionali, e con le forze imprenditoriali del settore per cercare di portare a casa tutti insieme risorse e risultati.

1) Allegata alla proposta di Riforma dei Porti c’è una relazione illustrativa dello stato dell’arte della portualità italiana. Nella relazione ci sono quattro modi di classificare i porti italiani in base alla scelta delle merci conteggiate.
Quale tra queste quattro classifiche rappresenta meglio la realtà del porto di Trieste rispetto agli altri scali nazionali?


























Parlare di “classificazione” per i porti nazionali è da sempre risultato arduo e comunque scomodo, in quanto la sola presenza di un così alto numero di scali ha da sempre favorito visioni localistiche, nonostante le ripetute forme di classificazione adottate nei provvedimenti normativi statali succedutisi nel tempo, ma con scarsi effetti di reale programmazione funzionale e, soprattutto, di impiego della risorsa pubblica.

Ritenendo oggi superata la visione che ha caratterizzato il primo periodo durante e dopo la fase di riforma adottata con l’applicazione della Legge 84/94, che ha aperto il mercato del lavoro portuale alla gestione privata – creando tra l’altro modelli organizzativi diversificati tra porto e porto, ma caratterizzati in prevalenza da una riduzione delle professionalità produttive e abbattendo semplicemente i costi – per tentare di mettere effettivamente a regime di equilibrio economico le diverse realtà portuali del nostro paese, occorre completare tale percorso con una successiva fase di adeguamento degli standard infrastrutturali ai parametri adeguati al livello potenziale della domanda di servizi portuali, e questo obiettivo può essere colto e perseguito solamente con un nuovo approccio, che veda il porto non più come un centro isolato di contrastanti interessi di nicchia, ma come nodo portante di una catena logistica “terra-mare” strutturalmente integrata.

Nella realtà, la vera classificazione la fa progressivamente il mercato, ovvero il complesso degli input che si generano nel rapporto tra l’utilizzatore primario dei servizi portuali, la nave, e gli utilizzatori di filiera che producono il “cargo-inducement”, dagli spedizionieri, agli operatori logistici, alle industrie ecc., congiuntamente all’output che il singolo sistema porto riesce a produrre in termini di offerta di servizio, sia nel segmento interno della movimentazione portuale, sia su quello esterno del posizionamento a mercato, ovvero dell’intera catena logistica.

Appare indubbia la necessità, nel momento congiunturale che l’economia nazionale e mondiale sta attraversando, di adottare finalmente un modello di approccio normativo-progettuale al sistema portuale nazionale utile a trasformare quelle specificità che sono tipiche dei singoli scali, da elementi di freno e di pura conservazione di un ruolo legato a semplici rendite di posizione, a punti di forza per aggredire quel segmento di mercato effettivamente conseguibile e, possibilmente, adeguatamente remunerativo.

Da un semplice sguardo al mercato, tentando di valorizzare giustamente le indicazioni che si possono cogliere a distanza dopo la prima riforma introdotta con la Legge 84/94, può emergere un modello tendenziale di assetto del comparto portuale nazionale oggettivamente suggerito da variabili tipiche del mercato, la posizione, la potenziale competitività, l’accessibilità, la pianificazione territoriale ed urbanistica, ecc. 

Classificazioni in base ai tonnellaggi complessivi e/o parziali, o per categorie merceologiche e/o modalità di trasporto, rappresentano comunque e sempre delle esercitazioni “accademiche” che mai forniscono una chiave omogenea di lettura e/o elemento affidabile su cui basare decisioni normative e finanziarie.

Il modello che pare quasi scaturire “motu proprio” da un’analisi coerente ed equilibrata delle singole realtà portuali, anche in funzione dei rapporti di relazione degli stessi con il tessuto produttivo nazionale, con il Sud Europa ed il Mediterraneo, suggerisce una riconfigurazione ed aggregazione funzionale degli scali portuali in specifici “cluster regionali”, dove quest’ultimo termine non sta ad indicare una circoscrizione territoriale politica, bensì economica, a più ampio spazio e correlata funzionalmente ad un preciso mercato.

Una prima sintetica elaborazione, a livello indicativo, consentirebbe di tracciare per il Centro-Nord Adriatico la seguente ipotesi di aggregazione funzionale:


  1.  Arco Centro-Occidentale, rappresentato dai porti di Ancona, Ravenna, Chioggia e Venezia, con un’oggettiva funzione industriale e commerciale legata al territorio del Centro-Est e del Nord-Est Italia;
  2.  Arco Nord Orientale, rappresentato dai porti di Porto Nogaro, Monfalcone e Trieste, con l’oggettiva funzione industriale regionale e commerciale internazionale sul Centro-Est Europa.
Un semplice modello base di riferimento, che può costituire un punto di confronto ed analisi verso l’ipotizzata aggregazione delle esistenti – e numerose – Autorità Portuali in una nuova forma di Autorità di cluster, con più ampi poteri, maggiore autonomia strategico-decisionale e, soprattutto, economico-finanziaria, integrando nelle competenze della stessa anche quelle funzioni allargate al bacino infrastrutturale di accesso/collegamento con il mercato, come del resto già profilatosi di recente a livello governativo nazionale.

I principi cui orientare il nuovo modello di “Authority” sostanzialmente dovrebbero garantire le seguenti condizioni:

• autonomia finanziaria, assicurata mediante il conferimento diretto di quota parte delle entrate fiscali derivanti dalle attività portuali;

• governance snella e trasparente, attuata mediante la riformulazione degli organi collegiali di gestione e controllo;

• competenza di pianificazione e programmazione urbanistica di primo livello relativamente al territorio portuale, di livello paritetico alle altre istituzioni locali per le infrastrutture sul territorio di accesso al mercato;

• competenza di pianificazione, implementazione e sviluppo del network ferroviario di collegamento “porto-interland”, a livello paritetico con l’organismo di gestione della rete nazionale;

• promozione/adozione di strumenti, anche attraverso partecipazioni in società ad hoc, d’iniziative di marketing territoriale finalizzato a favorire insediamenti/investimenti;

• promozione di progetti di PPI, per la realizzazione/ampliamento dei terminali portuali, con il supporto di forme di sostegno attuate anche mediante l’eventuale ricorso a specifiche emissioni di “project bond”, ai sensi degli strumenti di cui ai recenti provvedimenti governativi in materia.

2) A fine mandato la presidente Marina Monassi ha rilasciato rinnovi, estensioni e nuove concessioni legate ad una serie di progetti di intervento nel porto di Trieste. Potete indicare a vostro parere una gerarchia di importanza tra i vari progetti di seguito elencati:

• Piattaforma Logistica
• Raddoppio MOLO VII
• Realizzazione MOLO VIII
• Terminal traghetti ro-ro canale navigabile
• Concessione ad Arvedi – Ferriera banchina per movimentazione materiali
• Rilancio di attività legate alla portualità in Porto Vecchio
• Sdemanializzazione Porto Vecchio
• Sviluppo terminal crociere


In primis sarebbe utile distinguere tra progetti urbanistico-portuali d’interesse della collettività locale, progetti di sviluppo portuale già finanziati e cantierati e progetti in corso di procedure autorizzative e finanziamento (pubblico/privato), altrimenti si rischia di diffondere informazioni fuorvianti.

Nella prima categoria rientrano certamente lo “Sviluppo terminal crociere” e la “Sdemanializzazione Porto Vecchio”. 

Per questo ultimo tema, si sa che l’evoluzione e la progressiva specializzazione del trasporto marittimo, delle dimensioni delle navi, e della logistica portuale in generale, hanno via via emarginato la piena funzionalità del Porto Vecchio, realizzato nella seconda metà dell’ottocento, superando inoltre quella funzione prettamente emporiale che ne aveva a lungo sostenuto la valenza commerciale, con la sola eccezione dell’Adria Terminal, frutto di un investimento pubblico di riconversione programmato negli anni ’70, peraltro fortemente inibito dalla mancata crescita dell’adiacente contesto strutturale di supporto – viabilità e ferrovia – a causa della posizione a ridosso della città. 

Nell’ambito delle iniziative che sorgeranno tra i soggetti istituzionali competenti, le forze politiche che devono tradurre le proposte concordate in atti legislativi, non potrà mancare l’apporto costruttivo da parte dell’Autorità Portuale, per perfezionare le intese con le altre Amministrazioni Locali e conseguentemente promuovere un percorso condiviso che accolga le esigenze di integrazione “città-porto” espresse dalla collettività, spostando la residua attività operativa portuale nelle nuove aree portuali disponibili nella parte Sud del comprensorio.

I proventi e le risorse derivanti dalla sdemanializzazione del Porto Vecchio, a prescindere da quale soggetto sarà deputato alla loro gestione, dovranno essere vincolati e finalizzati all’infrastrutturazione del porto, delle sue reti di raccordo ferroviario e stradale, delle banchine e delle aree di movimentazione e deposito, per garantire la massima efficienza e sviluppo al sistema operativo portuale.

Relativamente al Terminal Crociere, si ritiene lo stesso altamente strategico sia per gli aspetti prettamente portuali, navi ed indotto occupazionale e finanziario generato, sia per quelli turistici, di particolare interesse per la collettività ed il tessuto commerciale cittadino. Parallelamente ed in parte anche a supporto dell’attività crocieristica delle grandi navi, si può prevedere anche un recupero dei collegamenti turistici costieri e di short-sea, da e per le destinazioni dei due versanti Adriatici, attività per la quale si configurerebbe di fatto un riutilizzo di alcuni accosti in Porto Vecchio, per una più stretta interazione turismo/città.

Per quanto concerne i progetti della seconda e terza categoria, ognuno ha delle distinte caratteristiche di priorità specifica, quindi rappresentano un “cluster” organico a quella che è stata e speriamo sia anche nel futuro la valenza funzionale dello scalo triestino, commerciale ed industriale, nel cui contesto il piano di sviluppo per la riconversione produttiva ed operativa presentato dal nuovo gruppo proprietario della Ferriera di Servola assume particolare rilievo, anche in rapporto alla realizzazione del primo lotto della Piattaforma Logistica, contribuendo alla creazione di un poderoso lay-out portuale dedicato al multi-purpose, alle rinfuse ed ai prodotti siderurgici, uno dei più grandi del Mediterraneo, in linea con le attuali modalità del trasporto marittimo e della produzione/trasformazione industriale. 

L’ultima priorità progettuale è certamente la realizzazione del Molo VIII, che rappresenta nell’ambito del nuovo Piano Regolatore Portuale in corso di approvazione una possibile futura espansione a lungo termine dei terminali specializzati del porto, ovviamente in ragione dell’evoluzione del mercato della domanda potenziale di servizio.

3) Come va valutato lo sviluppo del porto di Koper in particolare sul versante container. Si tratta di competere denunciando una concorrenza non regolare tra paesi dell’UE? Si tratta di collaborare a partire dalla costruzione di un sistema ferroviario retroportuale che serve al meglio i due porti? Va vista come una opportunità di sviluppo “comune” vista la stretta vicinanza geografica? Vanno rigidamente divisi i traffici per categorie e i compiti tra i due porti per evitare che le navi siano costrette a fare la doppia fermata a Trieste e Koper? Altro? Siete voi gli esperti!

La concorrenza di Capodistria nei confronti di Trieste si basa su oggettivi fattori di convenienza per gli operatori, sia in termini di costo, sia di procedure doganali e di altro genere, essendo lo scalo sloveno oggi totalmente parificato agli altri porti europei, ma con una più ampia flessibilità garantita dalla gestione dell’azionista di maggioranza assoluta “lo Stato”, il che determina una situazione con cui nessun terminalista privato può competere ad armi pari. 

Lo stesso vale per la situazione delle ferrovie Slovene, le quali in questa logica di rapporto integrato (l’azionista di maggioranza è il medesimo) sostengono adeguatamente l’unico porto nazionale.

In questo contesto appare ancora arduo ipotizzare collaborazioni organiche e/o su basi paritetiche, sia in materia di gestione dei terminali portuali – che a Capodistria sono delle semplici divisioni della medesima società – sia in materia ferroviaria, soprattutto per i collegamenti da e per l’Est Europa, salvo verificare la valenza di alleanze di immagine che possano rendere l’arco Nord Adriatico più centrale negli interessi e nelle attenzioni di Bruxelles.

Ripartizioni di traffico tra porto e porto e “schedule” navi sono elementi che vengono decisi unilateralmente dai rispettivi attori del mercato, e le variabili che ne determinano l’andamento sono in gran parte fuori dal controllo “locale”, obiettivo di una buona gestione portuale deve essere quello di sfruttare al massimo tutti i propri fattori competitivi per cercare di ottimizzare al meglio il livello dell’offerta di servizio, sia all’interno del porto, sia nelle relazioni con l’entroterra di riferimento.

In ogni caso e guardando la situazione dal punto di vista degli operatori “globali” (le grandi alleanze tra le compagnie marittime) i tre porti di Trieste, Capodistria e Fiume, rappresentano nel complesso un sistema che funge da “gate” per un’area di mercato (il Centro-Est Europa) dall’andamento economico più dinamico rispetto al tradizionale mercato dell’area “Euro”; la nostra capacità, pur nel contesto di una permanente situazione competitiva, deve esplicarsi necessariamente in questo scenario, trovando le opportune soluzioni per garantire al porto di Trieste una crescita infrastrutturale in linea con l’andamento della domanda.

4) Accanto alla “concorrenza” con Koper c’è il problema della portualità dell’Alto Adriatico e del progetto del porto off-shore di Venezia. Una vostra valutazione.

Come già accennato nel punto che precede, l’arco portuale Nord Adriatico ha riconquistato negli ultimi anni una sua specifica centralità nell’ambito della ripartizione geografica dei flussi del trasporto marittimo con il Mediterraneo e l’Oltre-Suez gestiti con servizi di collegamento oceanici diretti e l’impiego graduale di navi full-container di media/grande capacità, nonché con i servizi diretti di Autostrada del Mare nelle relazioni di interscambio Turchia-Centro Europa e più recentemente anche con la Grecia.

Tale crescita è stata garantita in particolare dai tre porti dell’arco orientale, Trieste, Capodistria e Fiume, mentre i porti di Venezia, Ravenna e Ancona, pur anch’essi con andamenti positivi, hanno mantenuto un ruolo prevalente di servizio al sistema economico nazionale del Nord-Est e del Centro Italia.

Le tabelle che seguono riassumono l’andamento del traffico contenitori complessivo nei sei Porti del Centro Nord Adriatico, Ancona, Ravenna, Venezia (West A.), Trieste, Capodistria e Fiume (East A.), nel periodo 2000-2014; come si nota il tasso di crescita media annua si è mantenuto costantemente alto, anche nel periodo della crisi (2007-2014), sia nel complesso dei dati sia nei due versanti portuali, dove però il tasso di crescita medio annuo dei tre porti del versante orientale è quasi triplo rispetto a quello dei tre porti occidentali:

La spiccata dinamicità del versante dei tre porti di Trieste, Capodistria e Fiume si nota
anche dall’analisi dell’andamento dell’indice normalizzato (NI) dove, fatti pari a 100 i valori di
partenza (anno 2000), nel 2014 il versante Ovest registra un indice pari a 277, quello orientale un indice pari a 447.





Il progetto Off-shore di Venezia, pur risultando comprensibile dal punto di vista della
movimentazione di carichi di rinfuse liquide e solide, a seguito dell’installazione del sistema Mose ed a maggior protezione della Laguna, non appare – in quanto non è ancora noto il conto economico della sua gestione operativa - competitivo per il comparto dei contenitori, causa i maggiori costi di movimentazione richiesti dal sistema proposto.

Sulla base dei dati resi sinora pubblici, si evince che il costo complessivo di tale opera, tra
terminal off-shore, terminal on-shore a Marghera, attrezzature meccaniche, mezzi nautici,
dovrebbe ammontare, per la parte esclusiva riferita alla movimentazione dei contenitori, intorno ai 1.200 milioni di Euro, cifra che per essere ammortizzata nel quadro di una gestione operativa pluriennale in trenta anni, richiederebbe la movimentazione di almeno 5,3 milioni di TEU/anno, un tanto sulla base dei parametri standard noti, non trascurando peraltro il fatto che ci si troverà ad affrontare degli extra costi di gestione dovuti appunto alla collocazione off-shore, quali ad esempio oneri contrattuali degli addetti, transfer in-out del personale operativo e dei materiali di consumo ecc. che, unitamente alle movimentazioni suppletive, non si vede come il mercato possa sostenerle, ma soprattutto non appare chiaro su quale entroterra si dovrebbe interagire per raggiungere i volumi necessari all’equilibrio gestionale.

Va sottolineato inoltre che, sulla scorta dei piani programmatici di sviluppo dei tre porti orientali, Trieste, Capodistria e Fiume, oltre che ad avere fondali sufficienti per accogliere le mega-navi, si prevede di disporre a medio lungo termine di una capacità operativa globale nel comparto contenitori sufficiente ad affrontare la dinamica della progressiva crescita dei volumi di carico in transito per i relativi mercati.

5) Il Porto Franco Internazionale di Trieste che non è mai stato formalmente istituito è un vostro obiettivo? Ci sono a vostro parere dei vantaggi derivanti del porto franco triestino anche rispetto alle zone franche riconosciute dalla comunità europea?

Prendendo spunto anche dai più recenti studi in materia, si sa che le agevolazioni derivanti dallo speciale statuto del porto franco per effetto dei trattati internazionali, in sostanza rappresentano dei vantaggi concreti, ma prevalentemente riferibili ad una compagine ristretta di operatori del trasporto e della logistica, soprattutto nel comparto delle procedure doganali e relativi dazi/imposte, segmento di valore che la moderna globalizzazione dell’interscambio ha fortemente ridimensionato, anche per effetto della de-localizzazione delle lavorazioni industriali primarie in mercati terzi, con costi di manodopera molto bassi e fiscalità alle imprese fortemente agevolata.

Premesso inoltre che sono noti i vantaggi sostanziali derivanti dal regime di porto franco e quelli indotti dal traffico delle “commodity” in termini di attività di movimentazione, occupazione di manodopera, trading commerciale ed attività finanziarie derivate quali assicurazioni, gestione crediti, transazioni ecc., l’attenzione va posta su due aspetti a mio avviso fondamentali:


  1.  l’aggiornamento normativo della “cornice istituzionale” che dovrebbe innanzitutto comprendere un provvedimento amministrativo di norme di attuazione correlato ai modelli intervenuti sia a livello internazionale che comunitario in materia di zone franche, dove la “politica” potrebbe anche “avvallare” una forma attualizzata di Porto Franco che risponda alle originarie prerogative istituzionali;
  2. l’adozione di un pacchetto di agevolazioni fiscali opportunamente mirato a frenare il processo di de-localizzazione di molte imprese del Nord-Est Italiano verso le regioni estere confinanti, la Carinzia (Austria) e la Slovenia, dove il sistema fiscale a carico delle imprese è notevolmente più favorevole, come si evince dalla seguente tabella esemplificativa, che riporta un semplice confronto delle aliquote base, senza considerare poi le ulteriori agevolazioni concesse in fase di start-up
Un tanto in linea con le numerose istanze sorte a livello di altri porti nazionali, quali Gioia Tauro, Taranto e in ultimo anche Livorno per l’applicazione di speciali regimi fiscali agevolati in capo alle imprese insediate nel comprensorio portuale, in materia di Ires, Irap e oneri contributivi sulle retribuzioni del personale dipendente, in parte a regime permanente, in parte nelle fasi di start-up.




In via subordinata, per il Porto Franco di Trieste ed in specie per le aziende insediate, sia per attività logistiche sia industriali, sarebbe equo proporre l’adozione di un dispositivo che preveda a carico delle imprese un regime fiscale omogeneo rispetto ai regimi degli stati membri confinanti – come evidenziato nell’analisi che precede in tabella – quindi tra il 17% ed il 22% di fiscalità complessiva tra IRES ed IRAP.

Ciò creerebbe condizioni di equità nella concorrenza soprattutto con i vicini scali esteri e, come detto sopra, contribuirebbe anche ad arrestare il processo di de-localizzazione delle imprese italiane verso regioni del mercato UE a minore intensità fiscale.

6) Accantonando per il momento le questioni legate al Trattato di pace di Parigi e quindi del Territorio Libero di Trieste ma concentrando l’attenzione sul riconoscimento del TAR degli obblighi per il Governo italiano a realizzare integralmente le voci dell’Allegato VIII, pensate di impegnarvi in questa direzione?

La figura del Presidente di un porto, come delineata dalle norme in vigore, non ha una valenza di carattere “politico” e/o rappresentativa di un determinato elettorato, bensì racchiude funzioni apicali di amministratore di un bene pubblico finalizzato ad attività economiche conferite al mercato privato, sulla base di indirizzi e linee condivise, nel rispetto delle specifiche normative nazionali e comunitarie, ispirate a principi di libertà di accesso e concorrenza; in questo contesto, assume particolare importanza l’approccio strategico che viene adottato con gli altri soggetti istituzionali competenti sul territorio cittadino e regionale.

Ciò premesso, potendo contare su di una indiscussa condivisione di obiettivi – come avviene ad esempio a Genova e Venezia – ed adottando una tattica mirata, tenuto anche conto di quanto precisato nei punti che precedono, si può serenamente confidare nell’ottenimento di molti di quei vantaggi che l’Allegato VIII aveva prefigurato per Trieste alla fine del secondo conflitto mondiale, opportunamente rimodulati in chiave moderna e di piena efficacia nel contesto attuale.

In buona sostanza, dopo quasi settant’anni dalla fine della guerra e sessanta dal ritorno di Trieste all’Italia, un “restyling” appropriato dell’istituto del Porto Franco, suggerirebbe azioni sia di carattere normativo, nel senso attuativo, sia di riperimetrazione delle aree portuali commerciali ed industriali, in linea con i parametri spaziali moderni (lunghezza banchine, aree operative asservite, piazzali di movimentazione, magazzini ecc.), puntando all’allargamento della funzione portuale in nuove aree ed estendendone lo specifico regime dove le attività imprenditoriali da insediare lo richiedano.

Antonio Gurrieri

Trieste, 25 novembre 2014

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