Bene ha fatto IL PICCOLO di Trieste a ricordare l'articolo sulle COOP di Paolo Rumiz che è pubblicato sul WEB e quindi lo si può leggere a questo indirizzo
Un intervento puntuale e preciso come il bravo Rumiz ci ha regalato varie altre volte con i quattro articoli sul Porto di Trieste, oppure con la doppia pagina di Repubblica sulla ferrovia a Trieste. Ricostruzioni giornalistiche che sono il punto di partenza di tutti i possibili ragionamenti, in una parola inchieste giornalistiche indispensabili.
Cooperative Operaie al voto ma c'è un'oligarchia blindata
IL PICCOLO 24 settembre 2012 di PAOLO RUMIZ
Le Coop di Trieste vanno dunque al rinnovo
del consiglio di amministrazione.
Da oggi i soci sono invitati a portare le
candidature presso lo studio notarile Chersi per dare inizio alla raccolta
delle mille firme di convalida. È un momento importante. Si tratta infatti di
capire se ci sarà un rinnovamento democratico in una delle più importanti
realtà economiche della città (110 mila soci di cui 17 mila finanziatori).
Ma è
proprio sulla possibilità di questo rinnovamento che intendo sottoporre alcune
valutazioni alla presidenza uscente. Premetto che mi ritengo insoddisfatto
delle risposte avute dal vertice delle Coop lo scorso luglio in merito ad
alcuni interrogativi sulla gestione.
Nulla mi è stato detto sulle perdite del
bilancio consolidato accumulate negli otto anni dell'attuale presidenza (22
milioni 236.312 euro) e nulla sul dimezzamento del patrimonio netto consolidato
(da 38 milioni 801.002 euro a 19 milioni 518.147 euro nello stesso periodo). Si
tratta, si badi bene, di perdite accumulate in otto anni e non solo
nell'ultimissima «congiuntura economica negativa». Lo so, mi è stato al
contrario detto che non essendo socio non avevo voce in capitolo: cosa che
contesto come giornalista. Sarebbe come dire che è impossibile scrivere delle
Generali senza esserne azionisti. Ma veniamo alle elezioni.
L'impressione è che
l'attuale dirigenza si sia cucita un vestito su misura per scongiurare
l'esistenza di valide liste alternative. All'ultima, tempestosa assemblea dei
soci (alcuni dissenzienti sono stati coperti di fischi) si è varato un
regolamento elettorale irto di paletti per qualsiasi "new entry". Per
entrare in consiglio di amministrazione bisogna essere soci da cinque anni (il
che a quanto mi risulta è contrario allo statuto delle stesse Coop), avere
un'esperienza triennale in organizzazioni cooperative, avere svolto attività in
una cooperativa, ed è preferibile essere amministratori o dirigenti di una
Coop. Che dire? Con questo regolamento tecnici di fama mondiale come Giovanni
Bazoli, Alessandro Profumo o Giovanni Perissinotto sarebbero bocciati dalla
commissione "valori e regole" delle Coop medesime.
Persino Mario
Monti avrebbe meno numeri di un usciere. Ma c'è di più: la lista dei soci
rimane opaca. Solo da pochi giorni gli elenchi sono stati pubblicati in un sito
internet riservato ai soci, ma accanto ai nomi non compaiono indirizzo o numero
di telefono. Ne consegue che le Coop sono formate da una folla di persone che
non si conoscono tra di loro, ma sono in compenso conosciute dal vertice, che
quindi gode di un incommensurabile vantaggio elettorale sui concorrenti:
raccolta delle firme di cui sopra, mobilitazione assembleare, formazione di
lobby di pressione, spedizione di lettere (come di pubblicità) a precisi
indirizzi. Non sono addetto ai lavori, ma non escluderei che queste elezioni
corrano il rischio di essere invalidate. Troppo smaccata è la blindatura di
un'oligarchia, inchiodata da una decina d'anni sugli stessi nomi.
E invece di
cambiamento ci sarebbe, come dissi mesi fa, urgente bisogno, perché dal 2004 a
oggi – gli anni della presidenza Marchetti – le attività commerciali (negozi)
delle Coop hanno accumulato perdite per 42 milioni 247.420 di euro. Sono dati
ufficiali delle stesse Coop.
Un buco di quarantadue milioni, riempito con i
risparmi dei triestini (remunerati, è giusto dirlo, con un tasso intorno
all'uno per cento) e operazioni finanziarie cosmetiche tra mamma-Coop e le
controllate. I conti sono "puliti", ha rilevato il revisore
straordinario mandato dalla Regione. Si tratta di una certificazione
importante. Ma resta il fatto che, se le Coop fossero fatte di soli negozi,
sarebbero fallite. Per capirsi, l'ex sindaco Roberto Dipiazza, con i suoi
supermercati, sarebbe stato inghiottito dal baratro di fronte ad analoghi dati
contabili.
Le Coop no, perché hanno il paracadute dei risparmiatori. Ne hanno
talmente tanti che, messi in fila, potrebbero formare una catena umana da
Barcola a Sistiana. Un patrimonio immenso. Assodata dunque la correttezza
contabile, le difficoltà restano innegabili. Ma allora, è scorretto pensare che
tali difficoltà non siano banalmente dovute al furto di qualche arancia (vedi
il caso della signora denunciata la scorsa primavera) ma a una difficoltà di
gestione da discutere apertamente, innescando un vero gioco democratico e
spalancando le porte al cambiamento?
Lo chiedo per rispetto ai soci, ai
risparmiatori, alla città. Le Coop sono di Trieste, sono di fatto un patrimonio
pubblico (anche se di diritto privato) e grazie alla mano pubblica fruiscono di
una tassazione super-agevolata. Tasca nostra dunque. Non di circoli chiusi che
nell'intrapresa spesso non hanno investito, di loro, nemmeno un euro di
capitale. È giusto dirlo soprattutto in questi tempi di crisi, in vista di un
Natale che – salvo alcuni, ovviamente – ci vedrà tutti più poveri.
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