lunedì 1 settembre 2014

CONFERMATO ! NEL DECRETO LEGGE SBLOCCA ITALIA LO " SBLOCCA PORTI " NON C'E'

LA NOTIZIA E' CONFERMATA, MA A TRIESTE NESSUNO LA COMMENTA

Eppure, senza entrare nel merito del provvedimento e senza esprimere giudizi, la cosiddetta "riforma dei porti" era stata citata da diversi soggetti politici. Ad esempio la segretaria regionale del PD ha citato questa riforma dicendo che sarebbe stato rivisto il ruolo dei comitati portuali, quasi dando per scontato che basta rivedere qualcosa per migliorarla. 

Evidentemente non è andata così, in molti , non hanno dato per scontato che una riforma sia sempre da giudicare positivamente. Dobbiamo rivolgerci nuovamente ai media liguri, e in particolare al SECOLO XIX per allungare lo sguardo sui retroscena dello stralcio dal decreto legge della parte dedicata ai porti. 


BLITZ IN CONSIGLIO DEI MINISTRI SUL TESTO DELLO SBLOCCA ITALIA. 
IN AGITAZIONE I POTENTATI LOCALI DEL PD

PORTI, ECCO COME RENZI HA CESTINATO LA RIFORMA

Palazzo Chigi vuole azzerare le Authority: ecco perché è stato 
bocciato il compromesso Lupi - Serracchiani

IL RETROSCENA   di Giorgio Carozzi  Secolo XIX      1 settembre 2014


Genova - Nel tardo pomeriggio di giovedì 28 agosto, vigilia della seduta del Consiglio dei
ministri, le 24 Autorità portuali italiane sono decapitate, morte e sepolte, polverizzate.
La furia di Matteo Renzi, che in quei minuti a Palazzo Chigi sta ricevendo riservatamente il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi e la sua vice nel Pd, Debora Serracchiani, si abbatte sugli enti e non accenna a placarsi. È una sentenza di morte: «Basta, sembra più facile riportare la monarchia in Italia che cambiare faccia al sistema portuale!».

L’ameno siparietto del gelato è in agenda ventriquattr’ore dopo… Giovedì sera il premier non vuole più sentire scuse, rifiuta di inserire il compromesso raggiunto tra il ministro e la commissione del Senato nei provvedimenti che dovrà varare l’esecutivo. 

Pretende una riforma organica, non un rattoppo senza capo né coda. I 24 presidenti in carica, Renzi li vuol mandare subito volentieri a casa, tutti. Per ricominciare con l’idea di una sola regia, di una pianificazione unica delle scelte, delle strategie, degli investimenti. Per offrire all’Europa, almeno sulla carta, l’immagine di un’Italia dei porti omogenea, solida, proiettata verso le riforme e la crescita dei traffici.

È un incontro a tre piuttosto burrascoso. Se non nella sostanza, cestinando il decreto recapitato da Lupi, Renzi commissaria il suo ministro almeno nella forma. Si alzano i toni del confronto. Il premier non accetta più l’immagine ormai dilagante di Autorità portuali serbatoio di interessi territoriali, di consociativismo e corporazioni. Di occupazione del potere da parte della politica. Di miopia, dilettantismo, inadeguatezza.

Lupi e la Serracchiani si ritirano. Seguono momenti di panico. Vertiginoso giro di telefonate con i vari potentati locali del Pd e non solo. A quel punto il problema non è certo la riforma, non sono le imprese e il lavoro e i futuri destini dell’Italia marinara. La mannaia paventata dal premier per i 24 presidenti si trasforma in psicodramma.
Scena seconda. Dalle roccaforti territoriali arrivano segnali inquietanti. Spaccature, sommosse annunciate. Il collante che unisce le amministrazioni politiche e portuali è una miscela di compromessi, mediazioni e ripiegamenti.

Il solo pensiero di dover gestire una rivolta di proporzioni bibliche, terrorizza anche i burocrati del ministero. Che fare? Chi ha il coraggio di bussare all’ufficio di Renzi? I riformisti all’acqua di rose decidono che per il (loro) bene comune c’è un’unica possibile soluzione: mettere il decreto nel cassetto e chiuderlo a chiave. Se ne parlerà poi, si vedrà, si farà dopo.

Al premier, nella tarda serata di giovedì scorso, resta la soddisfazione di aver bloccato un intervento peggiorativo del già deprecabile andazzo. Poca cosa. Forse un punto di ripartenza.

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