Eppure, senza entrare nel merito del provvedimento e senza esprimere giudizi, la cosiddetta "riforma dei porti" era stata citata da diversi soggetti politici. Ad esempio la segretaria regionale del PD ha citato questa riforma dicendo che sarebbe stato rivisto il ruolo dei comitati portuali, quasi dando per scontato che basta rivedere qualcosa per migliorarla.
Evidentemente non è andata così, in molti , non hanno dato per scontato che una riforma sia sempre da giudicare positivamente. Dobbiamo rivolgerci nuovamente ai media liguri, e in particolare al SECOLO XIX per allungare lo sguardo sui retroscena dello stralcio dal decreto legge della parte dedicata ai porti.
BLITZ IN CONSIGLIO DEI MINISTRI SUL TESTO DELLO SBLOCCA
ITALIA.
IN AGITAZIONE I POTENTATI LOCALI DEL PD
Palazzo Chigi vuole azzerare le Authority: ecco perché è
stato
bocciato il compromesso Lupi - Serracchiani
IL RETROSCENA di Giorgio
Carozzi Secolo XIX 1 settembre 2014
Genova - Nel tardo pomeriggio di giovedì 28 agosto, vigilia
della seduta del Consiglio dei
ministri, le 24 Autorità portuali italiane sono
decapitate, morte e sepolte, polverizzate.
La furia di Matteo Renzi, che in quei minuti a Palazzo Chigi
sta ricevendo riservatamente il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi e la sua
vice nel Pd, Debora Serracchiani, si abbatte sugli enti e non accenna a
placarsi. È una sentenza di morte: «Basta, sembra più facile riportare la
monarchia in Italia che cambiare faccia al sistema portuale!».
L’ameno siparietto del gelato è in agenda ventriquattr’ore
dopo… Giovedì sera il premier non vuole più sentire scuse, rifiuta di inserire
il compromesso raggiunto tra il ministro e la commissione del Senato nei
provvedimenti che dovrà varare l’esecutivo.
Pretende una riforma organica, non
un rattoppo senza capo né coda. I 24 presidenti in carica, Renzi li vuol
mandare subito volentieri a casa, tutti. Per ricominciare con l’idea di una
sola regia, di una pianificazione unica delle scelte, delle strategie, degli
investimenti. Per offrire all’Europa, almeno sulla carta, l’immagine di
un’Italia dei porti omogenea, solida, proiettata verso le riforme e la crescita
dei traffici.
È un incontro a tre piuttosto burrascoso. Se non nella
sostanza, cestinando il decreto recapitato da Lupi, Renzi commissaria il suo
ministro almeno nella forma. Si alzano i toni del confronto. Il premier non
accetta più l’immagine ormai dilagante di Autorità portuali serbatoio di
interessi territoriali, di consociativismo e corporazioni. Di occupazione del
potere da parte della politica. Di miopia, dilettantismo, inadeguatezza.
Lupi e la Serracchiani si ritirano. Seguono momenti di
panico. Vertiginoso giro di telefonate con i vari potentati locali del Pd e non
solo. A quel punto il problema non è certo la riforma, non sono le imprese e il
lavoro e i futuri destini dell’Italia marinara. La mannaia paventata dal
premier per i 24 presidenti si trasforma in psicodramma.
Scena seconda. Dalle roccaforti territoriali arrivano
segnali inquietanti. Spaccature, sommosse annunciate. Il collante che unisce le
amministrazioni politiche e portuali è una miscela di compromessi, mediazioni e
ripiegamenti.
Il solo pensiero di dover gestire una rivolta di proporzioni
bibliche, terrorizza anche i burocrati del ministero. Che fare? Chi ha il
coraggio di bussare all’ufficio di Renzi? I riformisti all’acqua di rose
decidono che per il (loro) bene comune c’è un’unica possibile soluzione:
mettere il decreto nel cassetto e chiuderlo a chiave. Se ne parlerà poi, si
vedrà, si farà dopo.
Al premier, nella tarda serata di giovedì scorso, resta la
soddisfazione di aver bloccato un intervento peggiorativo del già deprecabile
andazzo. Poca cosa. Forse un punto di ripartenza.
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