sabato 27 marzo 2021

E' PASSATO UN ANNO


Oggi, 27 marzo, è trascorso un anno esatto dalla 
scomparsa di Paolo. Eravamo tutte e tutti già attanagliati nella morsa del primo lockout e delle forti limitazioni che impedivano anche la partecipazioni alle onoranze funebri. 
Abbiamo dovuto aspettare quasi tre mesi per ritrovarci ed organizzare una serata in suo ricordo. Conoscendolo si può ben immaginare ed intuire, che se solo qualcuno gli avesse anticipato, quando era ancora in vita, che sarebbe stato „oggetto“ di una celebrazione collettiva alla Casa del Popolo di Ponziana, avrebbe sorriso e sfoderato una delle sue proverbiali occhiate, che riuscivano a racchiudere una vera e propria gamma di espressioni diversamente modulate e simultanee, che andavano dall’occhiata bonaria allo sguardo „inceneritore“. Noi comunque riteniamo che la cosa, sotto sotto, gli avrebbe fatto piacere, e forse se la sta ancora ridendo sotto i baffi...

Il suo articolo che riproponiamo oggi è forse quello più „autobiografico“, quello che in qualche modo racconta meglio la sua formazione, il contesto di alcune scelte, il perché della militanza attiva e sintetizza un po‘ la sua  personalità.

Da Left n. 17, del 30 aprile 2010 – Diario operaio

La fabbrica delle illusioni
Viaggio a ritroso negli anni per spiegare l’origine del disincanto sul sindacato. Quando leggevo volantini e sentivo i commenti dei compagni. Che anticipano l’oggi.
di Gibbs


Uno dei pochi lettori di questa rubrica che conosce l’identità dell’autore, in almeno due o tre occasioni in cui ci siamo sentiti continua a definirmi „finto operaio“. Quindi questo risulterebbe un finto diario operaio. Non viene messo in discussione il fatto che il sottoscritto sia un operaio, quello che questo autorevole compagno vuole segnalare è il fatto che io non sono proprio l’operaio medio che piace a sindacalisti, politici e sociologi. Mi imputa in alcuni casi il fatto o il misfatto di forzare certe interpretazioni a seconda della mia visione politica, della mia vicinanza o meno a determinate posizioni sindacali più o meno combattive. Non ho alcuna intenzione di parlare di me, altrimenti non userei uno pseudonimo, lo uso proprio per permettere ai lettori di concentrare l’attenzione sul contenuto e non sull’autore. Vorrei invece parlare di quella generazione che è passata dai movimenti giovanili per poi andare in fabbrica, di quelli che sono andati a vedere se era vero nella quotidianità della fabbrica tutto quello che avevano studiato sui libri. L’alienazione ci stava tutta, lo sfruttamento (che è cosa diversa dal maltrattamento) inteso nel senso di formula matematica per cui il padrone guadagna e tu invece no, la gerarchia del comando, l’innovazione praticata dai lavoratori per  liberare il loro tempo le abbiamo viste da vicino. Nonostante la giovane età eravamo abbastanza cinici e smaliziati per leggere i comportamenti e non le ideologie, regola probabilmente valida anche oggi per capirci qualcosa. Cosa avevamo letto, con chi avevamo parlato per trovarci in reparto e vedere sotto i nostri occhi dipanarsi il disegno della ristrutturazione e le prime illusioni sindacali?


Ricordo che con l’aria abbastanza seriosa stavo leggendo uno dei mensili che arrivavano ogni tanto. Il titolo dell’articolo recitava: „L’Italia punto medio della rivoluzione mondiale“, e lo leggevo comprendendo tutta l’importanza della questione. Sono lì seduto e questo personaggio mi passa accanto, guarda il titolo, sghignazza e allontanandosi recita testualmente: „Sarà anche vero fintantoché non aprono il mercato del lavoro cinese e poi andrete tutti a lavorare per una ciotola di riso“. Stava parlando di quello che è successo poi, di quello che stiamo vivendo e stiamo subendo.


Era il 1976. Qualche volta anche gli slogan sono utili, la capacità di riassumere in una frase il senso di un lungo ragionamento è una forma d’arte comunicativa importante. Immaginatevi il mio entusiasmo quando presi in mano il volantone che a grandi lettere recitava: „Lavorare meno, lavorare tutti“. Uno slogan assolutamente geniale che avrebbero usato negli anni diversissime organizzazioni. Sto assaporando il mio entusiasmo, immagino i muri sui quali scriverò con la bomboletta spray queste semplici parole, e passa lo stesso compagno di prima. Guarda il volantone e afferma: „Io non mi fiderei, io sto lavorando sei ore al giorno e non vorrei che qualcuno pensasse di aumentare le mie ore, devono esserci garanzie ben precise, altrimenti non mi interessa. Era il 1977. Questi due esempi non sono isolati, ne potrei raccontare a decine, ero nei cordoni della manifestazione conclusiva del convegno di Bologna contro la repressione, non faccio in tempo a pensare che siamo in tanti, che un amico di quello di prima mi passa accanto e dice: „Tre giorni buttati, un convegno inutile, non è uscita alcuna indicazione utile per ripartire da domani con le lotte sul territorio!“ Capite che se uno ha questa fortuna o questa sfiga, se cresce con il gusto del dubbio e senza ideologie, neanche se lo tengono in fabbrica quarant’anni di fila riusciranno a uniformarlo. I miei commenti e i miei racconti sono proprio segnati da un punto di vista particolare e quindi dò ragione al mio critico lettore.

3 commenti:

  1. Amici, I veri esseri umani sono coloro che sanno venire in aiuto ai loro simili quando soffrono. Quest'uomo mi ha fatto un prestito di 45.000eur senza il tutto complicarmi la macchia al livello dei documenti che chiedono le banche in occasione delle domande di prestito. Ho deciso oggi di testimoniare nel suo favore voi potete contattarlo per E-mail: virgolinoclaudio7@gmail.com

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