UNA
STORIA DI TUBI
Quando
la fabbrica Sertubi di Trieste è entrata “in crisi”, decretando il
licenziamento di tutti i duecento lavoratori che vi erano impiegati, ci siamo
ricordati che nell’anno 2000, quando l’azienda iniziò la produzione, era stata
presentata come un motore trainante per l’economia locale, al punto che si
disse che la Ferriera di Servola non poteva chiudere perché la sua produzione
di ghisa era necessaria all’attività di quest’altra industria. Di conseguenza
il comitato di quartiere di Servola, che voleva la chiusura della Ferriera
(all’epoca proprietà della Lucchini) perché inquinante, si mobilitò anche
contro l’apertura di quest’altro stabilimento, valutato pure come inquinante e
posto in un’area densamente abitata.
Come
prima cosa vediamo la scheda della Sertubi che si trova ancora in rete nel
vecchio sito:
http://www.dufercoitalia.com/it/03-Plants/sertubi.aspx.
(NOTA DI FAQTRIESTE : LINK INESISTENTE ma fortunatamente la giornalista ha provveduto a fare un copia incolla all'epoca)
La
Sertubi, con sede a Trieste, è l’unico produttore italiano di tubi in ghisa
sferoidale per il trasporto e la distribuzione d’acqua potabile, industriale e
per il trasporto a gravità o in pressione delle acque reflue.
L’azienda,
avvalendosi di un processo produttivo basato su sistemi innovativi di
automazione e controllo, è in grado di fornire prodotti estremamente
competitivi sia in termini tecnico qualitativi che economici.
La
qualità del prodotto, la puntualità e la flessibilità nelle consegne, il
livello di assistenza tecnica pre e post vendita e le innumerevoli omologazioni
ottenute in diversi paesi europei, hanno consentito all’azienda di conquistare
una posizione di primaria importanza sia sui mercati italiani che nel panorama
internazionale.
La
Sertubi ha una capacità produttiva pari a 100.000 tonnellate/anno e oggi occupa
circa 230 addetti.
All’epoca
di questa descrizione la Sertubi faceva ancora parte della Duferco Holding, una
multinazionale dell’acciaio che aveva (ed ha tuttora) molte ramificazioni in
tantissimi paesi del mondo. In Italia tra il 2000 ed il 2001, c’erano sedici
distinte Duferco in attività (inseriamo qui come appunto che le ragioni sociali
delle varie Duferco sono cambiate spesso, una Duferco chiudeva, ed un’altra
apriva), alcune avevano nomi esotici come Duferco Macedonia, Duferco Adria e
Duferco Russia; ma anche Duferco International Investment Holding Guersney LTD;
altre erano semplici varianti di Duferco, alcune avevano sede a Genova, altre a
San Zeno Naviglio (BS).
A Trieste infine avevano sede in via von Bruck la
Duferco Holding Italia spa (che in alcune visure risultava avere lo stesso
codice fiscale di una Dufin spa) e la Duferco Sviluppo srl, che fino a pochi
anni prima risultava come Siderurgica Domegliara a Casale Monferrato. Volendo
poi indagare sulle altre consociate e sulle varie Dufin, c’era di che perdersi:
qualcuno l’ha fatto, ma quando mi hanno mostrato le carte io ho rinunciato
quasi subito a capirci qualcosa.
L’unica
collegata interessante, almeno per quanto riguarda Trieste, era un’Associazione
azionaria, la Duferdofin con sede a San Zeno, di cui erano azionisti la
triestina Duferco Holding, la Duferco Commerciale spa (sede a San Zeno) e la
Ferdofinance, una società anonima di mediazione di valori negoziabili con sede
in Lussemburgo.
Per coincidenza, proprio pochi mesi prima era stato sollevato
in consiglio comunale il fatto che la Giunta (all’epoca il sindaco era Riccardo
Illy) aveva investito fondi del Comune in fondi di investimento lussemburghesi,
che avevano sì rendimenti elevati ma erano anche molto rischiosi. Di quali
fondi si trattasse non era stato detto e poi la polemica rientrò e non siamo in
grado di dire se il Comune ci guadagnò o ci rimise.
Ma
torniamo alla Duferdofin, della quale si occupò un articolo di “Trieste Oggi”.
Questa finanziaria acquistò nel 1997 dalla Fincantieri un’area nei pressi del
vecchio Arsenale San Marco, quella che si trova alla fine di via von Bruck, e
dove fu poi insediata la Sertubi. Il prezzo d’acquisto era di 15.700.000.000 di
lire, 2 miliardi e mezzo pagati sull’unghia, il resto con la stipula di
un’ipoteca per 15 miliardi. Ma la Fincantieri concesse all’acquirente uno sconto
di 7 miliardi con la clausola che la costruenda Sertubi avrebbe assorbito 70
degli operai in esubero della Fincantieri (che era andata “in crisi” in quegli
anni, mettendo in strada moltissimi lavoratori). Insomma cento milioni ad
operaio: se glieli davano personalmente avrebbero risolto i problemi alla
radice…
In
seguito la Duferdofin ha frazionato l’area in quattro lotti rivenduti
all’Acegas per 2.500.000.000, alla Sertubi per 5.000.000.000, alla Siderurgica
Domegliara (cioè la Duferco Sviluppo che cambiò ragione sociale un mese prima
di firmare la compravendita) per 18.500.000.000 ed infine al Nuovo Arsenale San
Marco (in realtà Nuovo Arsenale Triestino, che poi si fuse nella Cartubi,
branca della Fincantieri) per 7.000.000.000.
Considerando
che azionisti della Sertubi erano l’Acegas, la Duferco, la Friulia, la Lucchini
(all’epoca proprietaria della ferriera di Servola) e la Moras Costruzioni di
Sacile (che all’epoca era appaltante per i lavori di allargamento della base
Nato di Aviano), volendo banalizzare si può dire che la Duferdofin dopo avere
acquistato un lotto per 2 miliardi e mezzo lo ha rivenduto (in parte a proprie
consociate) per 33.000.000.000.
NOTA DI FAQTRIESTE : all'epoca non è stata solo la giornalista Cernigoi a prendere appunti dagli articoli di Trieste Oggi ma anche chi scrive ha archiviato uno sviluppo con le varie società coinvolte in una presentazione powerpoint che potete consultare cliccando qui.
Nell’articolo
3 del contratto di compravendita tra la Fincantieri e la Duferdofin c’era
questa clausola “nel caso in cui i fabbricati e le aree oggetto della presente
compravendita, nei prossimi 5 anni a far tempo dalla data odierna (5 marzo
1997, n.d.r.) dovessero mutare destinazione d’uso rispetto a quella industriale
che attualmente connota il presente atto - incrementando conseguentemente il
proprio valore - e nell’arco di tempo sopra ricordato fossero oggetto di
vendita in tutto o in parte e/o di utilizzazione conforme alla nuova
destinazione, la Duferdofin spa si impegna fin d’ora a corrispondere alla
Fincantieri l’importo parti al 50 % del maggior valore che avranno acquisito le
aree e i fabbricati in seguito alla diversa destinazione urbanistica loro
conferita”.
Dunque
fino al marzo del 2002 nell’area non potevano essere insediate strutture con
destinazione d’uso diversa da quella industriale, e qui si inseriscono i
ricordi personali di chi scrive, delegata sindacale del proprio Ufficio, perché
nel 2001 l’area della Sertubi si trovò anche al centro di un’altra vicenda,
relativa alla localizzazione della sede del neocostituito Ufficio locale
dell’Agenzia delle Entrate, frutto della trasformazione degli Uffici finanziari
ministeriali in un’ottica privatistica. La ricerca di una sede adatta aveva
portato la Direzione Regionale delle Entrate ad accettare l’offerta fatta dalla
Duferco di dare in locazione l’ex palazzina dirigenziale della Fincantieri. Gli
impiegati dell’Agenzia, ritenendo che tale scelta non fosse congrua (la zona
era priva di servizi, scarsamente servita da mezzi pubblici, e si trovava in un
sito fortemente inquinato), iniziarono una vertenza tramite le organizzazioni
sindacali . Il punto che creava le maggiori perplessità dal punto di vista
della trasparenza amministrativa era che tutta la zona era, secondo il piano
regolatore, destinata ad attività portuali ed industriali, e quindi poco
coerentemente si inseriva nel contesto una struttura di servizio pubblico come
l’Agenzia delle Entrate, considerando inoltre l’articolo del contratto di
compravendita sopra citato.
I
rappresentanti dei lavoratori incontrarono dapprima i rappresentanti della
Giunta comunale uscente, in assenza del dimissionario Riccardo Illy il suo
sostituto Zanfagnin (che dimostrò una certa apertura verso le nostre richieste,
ma fu subito stoppato dall’allora presidente del Consiglio comunale Ettore
Rosato, che asserì che ci si trovava di fronte ad un atto dovuto e non si
poteva impedire l’insediamento degli Uffici finanziari nel sito, pur in
contraddizione con il piano regolatore; e poi il neo-eletto sindaco Roberto Di
Piazza, che sembrò in prima battuta propenso a bloccare il trasferimento, ma
qualche giorno dopo fece repentina marcia indietro.
Un
esposto presentato alla Procura su questi fatti non ebbe mai seguito, ed a
distanza di anni, quando l’Agenzia ha nuovamente traslocato e l’area in
questione non sembra avere avuto alcuno sviluppo migliorativo, quei fatti
possono essere consegnati alla storia.
La
Sertubi fu presentata in pubblico nel 2001, nel corso di uno dei “venerdì
dell’ambiente” che l’allora giunta Illy proponeva ai cittadini nella sala del
Consiglio comunale. Il rappresentante legale Gianluigi Carella spiegò che la
ditta faceva parte della multinazionale della siderurgia Duferco, e quindi non
era corretto dire che la Sertubi era di Lucchini, essendo la Duferco
concorrente della Lucchini, anche se la Lucchini forniva la ghisa fusa alla
Sertubi (del resto se la Lucchini era tra gli azionisti della Sertubi, le due
entità erano qualcosa di più che “buoni concorrenti”, come li definì Carella).
La
Sertubi s’era installata a Trieste dopo che i suoi fondatori avevano avuto
un’esperienza quarantennale nel campo della siderurgia in Liguria, come Fabbrica Tubi Ghisa, facente parte di una multinazionale francese che deteneva
il monopolio della fabbricazione di tubi di ghisa. Per questo loro, che
avrebbero voluto già da anni insediare uno stabilimento del genere a Trieste,
non avevano potuto farlo fino a quando la multinazionale non fu venduta, un
paio di anni prima.
NOTA DI FAQTRIESTE : questo blog ha già pubblicato una storia della Fabbrica Tubi Ghisa di Genova scoprendo un ruolo nella vicenda del cavalier Arvedi (sono sempre gli stessi protagonisti ) vai al link: http://faqts.blogspot.com/2014/07/esiste-un-metodo-arvedi-esiste-un.html e cerca la scheda STORIA DELLA FIT
La
scelta di Trieste era strategica per una impresa del genere, avendo le
direttrici aperte sia per l’Austria e la Germania che per i Balcani, e nello
specifico l’area dell’ex cantiere San Marco, che era rimasta libera dopo lo
smantellamento dei cantieri alla fine degli anni ’60, era interessante per la
vicinanza con la Ferriera (necessaria alla fornitura della ghisa fusa, che
arrivava sotto forma di carro siluro e poi lavorata nello stabilimento), per la
vicinanza con la ferrovia ed il porto, e quanto alla viabilità era un problema
che stavano sistemando (va ricordato che uno dei problemi sollevati per la
presenza dello stabilimento in quel posto era che la via von Bruck, piuttosto
stretta e fiancheggiata da abitazioni, veniva percorsa continuamente da camion
carichi di tubi di ghisa ed anche a volte di ghisa fusa).
La
Siderurgica Domegliara, futura Duferco Sertubi, giunse a Trieste tra il 1997 ed
il 1998, investendo 30 miliardi per dare vita allo stabilimento.
All’inizio
avevano 170 dipendenti, tra i quali i 60 messi in mobilità dalla Fincantieri,
come da accordi stipulati (precedentemente avevamo visto però che ne erano
stati previsti 70); la fabbrica lavorava a ciclo continuo e quanto
all’inquinamento, non c’erano problemi, perché il loro forno funzionava
elettricamente.
In
effetti il problema sollevato dagli abitanti era che il carro siluro carico di
ghisa spargeva grafite nell’aria (la polverina nera luccicante che si
depositava sui davanzali e sulla biancheria stesa ad asciugare), che non
essendo aspirabile non è cancerogena (come le polveri sottili), ma della quale
non si sono ancora studiati gli effetti sull’organismo. E per quanto concerneva
il traffico pesante sopportato dagli abitanti del rione, secondo Carella dalla
Sertubi uscivano “in media” solo 2,2 camion di tubi al giorno, calcolando la
media su 22 giorni lavorativi al mese, mentre gli altri camion erano di altre
ditte che avevano lì la sede (il Nuovo Arsenale, che poi si fuse nella Cartubi,
una derivata della Fincantieri; e la ditta di spedizioni navali Ocean, che
proprio in quei giorni della relazione di Carella aveva subito un furto nei
propri uffici).
Ma
2,2 camion di tubi al giorno ci sembravano un po’ pochini per così tanto
investimento e lavoro, ed in effetti la Sertubi, avendo uno sbocco diretto al
mare, inviava il grosso dei tubi con le navi: certo non in Germania o Austria,
né nei Balcani, ma in Arabia Saudita, dove veniva usato per acquedotti (così si
disse un paio di anni dopo).
Nel
2011 la Duferco diede in affitto per cinque anni lo stabilimento alla ditta
indiana Jindal, dato che la Sertubi “negli ultimi mesi navigava in cattive
acque in seguito al blocco dei mercati del Medio Oriente”, come scrisse il
“Piccolo” il 14/8/13. E così si espresse Antonio Gozzi, “presidente di
Federacciai e amministratore delegato di Duferco” in un incontro con
istituzioni e dipendenti: “Non abbiamo in questo momento una responsabilità
diretta nella gestione, ma morale.
Sertubi è stata, purtroppo, un investimento
tragico: in dieci anni Duferco ha sostenuto perdite per 7-8 milioni l'anno, non
più tollerabili. Il mercato italiano dei tubi in ghisa, che valeva a fine anni
Novanta 120mila tonnellate annue, non supererà nel 2012 i 40mila, riflettendo
le difficoltà di comuni e consorzi senza risorse che non investono in
acquedotti e fognature”.
La Jindal si era anche impegnata ad investire 5
milioni di Euro per costruire un nuovo forno di essicazione, in modo da
migliorare il prodotto finale, e nel frattempo la Sertubi era anche riuscita a
risolvere con l’Autorità portuale il problema di usare a pieno regime il pontile
di attracco “per carichi di 10-15 mila tonnellate alla volta”. Da mandare dove,
data la crisi del mercato medio-orientale?
Ma
se dopo soli dieci anni il fiore all’occhiello dell’industria triestina era
quasi completamente appassito, neppure la soluzione indiana è servita granché,
dato che poco più di un anno dopo la Jindal ha dichiarato chiusa l’attività
della fabbrica di tubi triestina. Con la gente in strada, e con buona pace dei
miliardi che sono girati attorno al lotto di via von Bruck.
Claudia Cernigoi aprile
2013
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