Urbanistica nella mutazione genetica
capitalista
Sulle pagine de «il manifesto» (22 giugno),
nell’inusuale recensione a una recensione di Paola Bonora al nostro libro –
Miserie e splendori dell’urbanistica –, Marco Assennato pone un interrogativo:
l’urbanistica ha qualcosa da dire riguardo la costruzione del conflitto e del
sapere «dentro alla crisi del piano»?
Una domanda cui lo stesso Assennato
poteva trovare ampia risposta nel libro. Ma cogliamo l’occasione per rispondere
con questa breve replica.
L’urbanistica è pienamente coinvolta nella
mutazione genetica neocapitalista. Da disciplina dalla forte vocazione sociale,
si trasforma in materia privatistica, in tecnica facilitatrice delle imprese
immobiliari. I sindaci, poveri ma onnipotenti, riducono la urbs (la città nella
sua consistenza fisica) a merce; la civitas a una public company; la polis a
contrattazione mercantile.
Nel vuoto immaginativo della politica, le
città hanno abdicato al piano che – ci preme ricordarlo – inviso ai padroni, è
vitale per le classi subalterne.
Non mancano, a dire il vero, (pochi) esempi
positivi: Napoli e la «delibera Filangieri», la legge 64/ 2015 della Regione
Toscana che limita l’espansione urbana, i piani paesaggistici di Puglia e
Toscana.
La gestione privatistica dei territori genera
conflitto, controffensive e forme collettive di resistenza che insistono sui
temi dell’abitare, e che costruiscono, collettivizzano e diffondono sapere
critico, radicato localmente ma avvertito del dibattito internazionale.
Esse autoproducono informazione; immaginano
controprogetti; costruiscono relazioni mutualistiche nella latitanza del
welfare urbano. Nelle città dilaniate dalla selezione sociale e dalla
speculazione immobiliare – sotto il falso nome di «rigenerazione urbana» – i
movimenti rivendicano l’urgenza di ricostruire un sistema di edilizia
residenziale pubblica.
Nelle aree investite da progetti di grandi
opere, o nel panorama di land grabbing che sta aggredendo le regioni
turistiche, realtà neorurali e microterritoriali, dalla postura popolare,
collettiva, inclusiva, agiscono nel solco dei commons.
I temi sono quelli dell’accesso alla terra,
della cura dei suoli, del diritto a modalità «altre» di conduzione
dell’esistenza.
Sono lotte che riempiono di proposte concrete
e condivise sui luoghi dell’abitare e sulle risorse ambientali. La svolta da
intraprendere è immaginare una trasposizione di utopie, desideri, relazioni,
produzioni, in istituzioni durevoli. Rendersi cioè collettivamente capaci di
ricomprendere nel nomos la visione riproduttivo-generativa dell’accudimento del
vivente, la relazionalità ecologica, l’autogestione collettiva e inclusiva, la
natura di bene comune delle terre e degli immobili presidiati, custoditi e
gestiti conformemente all’istituto degli usi civici.
FAQTRIESTE : dedichiamo questo articolo a tutti coloro che credono sia giunta l'ora di dire che l'urbanistica non è di destra o di sinistra. Certamente è un articolo per esperti che cercheremo di "tradurre" nei prossimi giorni. Semplificare senza banalizzare. Ogni volta che leggete sulla stampa locale che quel palazzo è stato messo in vendita dal Comune e che quell'altro è stato comperato state assistendo ad una privatizzazione dei beni comuni e di comune proprietà in favore di pochi.
Le città e i loro pezzi e palazzi e aree vengono ridotti a merce. Acquistati in un supermercato immobiliare dove un pezzo pregiato è sicuramente l'ampia area del Porto Vecchio. Si tratta solo di ottenerlo al prezzo più basso ?
Non stiamo assistendo ad un'asta tra tanti acquirenti ma piuttosto ad un asta deserta in attesa che il prezzo scenda, scenda, e scenda. Chiedete a chi da anni sta tentando di vendere i cinque magazzini ora proprietà di Greensisam ?
FORSE ESISTONO VERAMENTE CASE DI DESTRA E DI SINISTRA ?
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