(ANSA) - GENOVA, 3 AGO
- MSC, Mediterranean Shipping Company, ha celebrato il battesimo di MSC
Zoe, ultima arrivata in famiglia tra le mega – portacontainer della Compagnia,
in occasione del suo scalo inaugurale ad Amburgo. MSC Zoe è la nave
portacontainer più grande del mondo e fa parte di una nuova classe di navi
portacontainer da 19.224 teu, costruite nel rispetto degli standard di
ingegneria presso il cantiere Daewoo Shipbuilding and Maritime Engineering
(DSME) Shipyard in Corea del Sud.
Nei mesi precedenti sono state battezzatele le sue gemelle
MSC Oscar e MSC Oliver, che portano anche esse i nomi dei nipoti dell’armatore.
Non solo queste navi sono le più grandi navi portacontainer che solcano i mari
oggi, ma il loro design innovativo le rende anche tra le più “green”. MSC Zoe,
infatti, è dotata di un moderno motore diesel a basso consumo di carburante che
riduce le emissioni di CO2. Madrina della cerimonia la piccola Zoe, nipote di
quattro anni del fondatore e del presidente esecutivo del Gruppo MSC Gianluigi
Aponte e figlia di Pierfrancesco Vago, Executive Chairman di MSC Cruises ed
Executive Director del Gruppo MSC.
IL COMMENTO DI SERGIO BOLOGNA
IL COMMENTO DI SERGIO BOLOGNA
L’altro
giorno ad Amburgo si è svolta la cerimonia del battesimo di “MSC Zoe”,
portacontainer da 19.224 TEU, così chiamata in onore della nipotina di
Gianluigi Aponte, Zoe Vago. E’ la più grande oggi in esercizio, lunga 394 metri
e larga 59, pesa 197.362 tonn
ed è stata pagata ai cantieri coreani Daewoo 140
milioni di dollari, cioè settanta centesimi di dollaro al chilo, motore, elica
e apparecchiature di ultima generazione compresi. Secondo Global Marketing
Systems, a luglio 2015 le quotazioni per la demolizione di una petroliera o di
un general cargo in India, Pakistan e Bangla Desh stavano tra i trenta ed i
trentaquattro centesimi di dollaro al chilo.
Non sappiamo quando MSC ha dato
l’ordine ai cantieri di costruire le tre navi da 19.000 Teu, probabilmente
nella primavera del 2014 quando il prezzo di demolizione era sui 45 centesimi
di dollaro al chilo. In pratica una carretta del mare da demolire può costare
solo 25 centesimi di dollaro al chilo di meno di una nave gigante di ultima
generazione, dotata delle più sofisticate apparecchiature, nuova di zecca. Chi
permette questi prezzi stracciati dei cantieri navali? Lo stato, che sussidia
la cantieristica a più non posso, in Corea come in Giappone o in Cina, quindi
in definitiva paga il contribuente.
Ci
vengono a raccontare che le navi giganti con le loro economie di scala
rappresentano la nuova rivoluzione nello shipping, fiumi di carta e ore di Internet
dedicate a questa idea geniale dei moderni armatori: i mega ship, la logistica
del nuovo millennio. Imprenditori del trasporto merci dovrebbero essere gli
armatori, ma assomigliano sempre più a dei “rottamatt”, come si dice a Milano,
non trasportano merce, comprano e vendono ferro.
Trading ships not cargo ha definito
questo mercato il grande economista marittimo Martin Stopford. Ormai il
portafoglio ordini di grandi navi è out
of control, scrive la società di ricerche e analisi Drewry. Questo mercato
è madness ha dichiarato alla stampa
Cecilia Battistello Eckelmann di Contship Italia, prima di ricevere a Londra in
giugno il premio alla carriera di “Containerisation International”, uno dei
massimi riconoscimenti del business marittimo-portuale.
Ma
questa follìa nessuno la ferma, i porti le corrono dietro, a spese sempre dei
contribuenti. E’ il cosiddetto libero mercato che va avanti a suon di soldi
pubblici, non ci guadagna nessuno, non le compagnie perché i noli sono ai
minimi storici, né i terminalisti, né i paesi, né l’economia, né l’occupazione,
né la qualità del servizio.
Viene
spontaneo a questo punto, di fronte a tale spettacolo d’incoscienza, ricordare
la vicenda della Grecia e la sicumera con cui le istituzioni internazionali
dettano le loro ricette di austerità, rovinando ulteriormente paesi già
dissestati. E per rendere il quadro di questa surreale idiozia ancora più completo, basta ricordare che proprio gli
armatori greci sono i primi al mondo nel gioco infernale di comprare e vendere
ferro chiamandolo impropriamente “nave”.
Sergio
Bologna
grazie prof.Bologna per la Sua analisi, lucida e "spietata" come sempre. Per noi operatori e' sempre importante alzare gli occhi dalle bollette doganali e dalle polizze di carico per riflettere in modo più elevato sul senso del nostro lavoro attraverso lo studio delle dinamiche complessive che Lei ci offre sempre con asciutta competenza. Mi permetto di aggiungere che oltretutto non sembra avere alcun senso questa corsa a navi sempre più grandi, se la crescita del traffico non va di pari passo con l'aumento dello spazio stiva; Il mercato dei noli, a detta di tutti e non solo di noi europei, ha subito un tracollo verticale. D'altronde anche la velocità della locomotiva cinese sta scendendo sotto la doppia cifra percentuale, quindi veramente gli armatori trasportano più ferro (tra nave e container vuoti) che merci. Il contribuente europeo chiamato a finanziare la costruzione di banchine portuali e piazzali sempre più capienti e sempre meno redditizie, dovrà andare incontro ad una bolla speculativa generata dai cantieri navali asiatici e finanziata da fondi specializzati anseatici ? Oppure sapremo "dire di no", come ha fatto l'amministrazione federale statunitense ? E quanto l'Unione Europea può effettivamente opporsi a questo gioco apparentemente senza possibilità di vittoria ? Infine, riuscirà il nostro Paese, cronicamente incapace di reagire con tempestività ai continui e repentini mutamenti del mercato, dotarsi di un'organizzazione dei sistemi logistico-portuali in grado di adattarsi alle politiche europee (siano esse di contrasto o di avvallo al gigantismo navale), oppure siamo inesorabilmente destinati ad avere porti piccoli per navi grandi e porti grandi per navi piccole ?
RispondiEliminaStefano Visintin