martedì 12 maggio 2020

AUTONOMI IN PIAZZA…. IL WELFARE CHE NON C’E’


(fonte Il Piccolo)
L’esasperazione sociale, in costante crescita, sta creando anche tensioni che sono sfociate in alcuni casi in tentativi di aggressione a consulenti in alcuni casi erroneamente percepiti o ritenuti dai lavoratori quali responsabili della mancata percezione degli ammortizzatori sociali”.

Così scriveva “Italia Oggi” il 4 aprile.

Al di là dei giudizi sul segno politico della manifestazione tenutasi sabato scorso in piazza dell’Unità (anche ad alcuni di noi piacerebbe chiamarla di nuovo Piazza Grande o addirittura, come qualcuno ha proposto, Piazza Ressel), è indubbio che essa ha messo a nudo tanti squilibri della nostra società. Uno di essi però lo condividiamo – per una volta tanto - con tutti i paesi occidentali ed è stata proprio la situazione creata da Covid 19 che lo ha fatto esplodere in tutta evidenza, dagli Stati Uniti alla Svezia, dalla Gran Bretagna alla Germania. Il mercato del lavoro si divide in due grandi tronconi: il lavoro salariato e il lavoro autonomo (a questo negli ultimi anni si è aggiunto un terzo troncone: l’universo di “lavoretti” che va sotto il nome di gig economy)

Il lavoro salariato ha una certa protezione con i cosiddetti “ammortizzatori sociali”, il lavoro autonomo non ne ha e questo dipende in parte dal fatto che il lavoro autonomo viene trattato come un’impresa (così lo considera l’Unione Europea). Quando tutto si è fermato a causa del virus, gli Stati hanno fatto ricorso sia agli ammortizzatori già previsti nelle loro istituzioni sia a misure straordinarie, riconoscendo ora un diritto, ora un’elargizione una tantum. Il più grande ed efficace ammortizzatore sociale italiano è la Cassa Interazione Guadagni (CIG), gestita dall’INPS; di recente è stata introdotta la CIG in deroga, gestita dalle Regioni.

Con i primi decreti il governo Conte ha riconosciuto la CIG alle imprese con dipendenti salariati e agli autonomi ha elargito l’una tantum (i famosi 600 euro), ma nella CIG ha introdotto un nuovo criterio, ha esteso il diritto a fruirne a tutte le imprese che avessero almeno un dipendente salariato. In tal modo si è messo in moto un meccanismo molto difficile da gestire: il numero dei beneficiari è aumentato a dismisura, la domanda si è riversata sulle Regioni perché l’unico modo per riconoscere quel diritto era di farlo rientrare nella Cassa in deroga. Due burocrazie, quella dell’INPS e quella delle Regioni, si sono trovate sommerse da domande. L’intasamento ha prodotto i ritardi e in taluni casi la paralisi. Le banche sono state autorizzate ad anticipare la CIG ma si trovavano già sul gobbo l’onere dei prestiti agevolati garantiti dallo Stato, se sbagliano nel concederli rischiano l’incriminazione per danno erariale. Insomma, nei tubi è stata mandata una gran massa d’acqua senza cambiare i rubinetti.

Ma la questione degli autonomi in Italia è assai più complicata. In Germania il sistema dei sussidi di disoccupazione in parte copre alcune categorie di autonomi, in Italia non ci sono coperture. E poi di che autonomi stiamo parlando? Dovremmo distinguerli almeno in due grandi categorie, quella del commercio e quella dei freelance (in gran parte professionisti a partita Iva del lavoro intellettuale), che versano i contributi INPS a due gestioni diverse, i commercianti con una quota fissa ed i freelance in base al fatturato.

Se in genere la condizione del commerciante è sempre stata considerata migliore di quella dei freelance, con il lockdown il rapporto si è del tutto rovesciato, molti freelance hanno potuto continuare a lavorare da casa mentre i commercianti si sono trovati schiacciati dalle spese fisse (affitto, merce ecc.) in presenza di reddito zero.

Secondo uno studio della Fondazione dei consulenti del lavoro i “lavoratori beneficiari di ammortizzatori sociali (CIG ordinaria e straordinaria) dopo aver atteso a lungo per aver sostegno al reddito, finiranno per percepire un assegno di molto inferiore alla loro retribuzione netta.” Lo studio calcola una perdita media del 36%.

L’Associazione Italiana dei Freelance, ACTA (www.actainrete.it) da un’inchiesta presso i suoi soci ha riscontrato perdite di guadagno dello stesso livello riscontrato in altri paesi europei, dove l’indagine più approfondita è stata condotta dalla banca pubblica tedesca che gestisce i prestiti di emergenza, la KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau): i freelance hanno perso in media il 63%. Riassumendo le perdite delle varie categorie: salariati –36%, autonomi freelance –63%, autonomi del commercio –100%.

Forse questi numeri ci dicono qualcosa anche sulla composizione sociale delle piazze e su certe rivendicazioni (es. finanziamenti a fondo perduto). Ma ci dicono ancora troppo poco su un lavoro autonomo che è molto stratificato. Una grossa componente dei freelance, per esempio, è costituita da lavoratori dello spettacolo, operatori degli eventi, dei sistemi museali ecc., la cui perdita di reddito è stata pari al 100%. Dovesse servire a qualcosa, questa crisi potrebbe finalmente indurre l’Unione Europea ed i diversi Stati a pensare un welfare per il lavoro autonomo. Ma anche se si deciderà a farlo, sarà molto difficile trovare regole comuni per una realtà così differenziata, in particolare se dobbiamo farci rientrare anche il terzo troncone, quello della gig economy.

Ci saranno i soldi?

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