Musolino: “Non siamo a Pompei ci deve essere un polo
produttivo”
IL NUOVO PRESIDENTE DELL’AUTHORITY DELLA LAGUNA: “È
SBAGLIATO METTERE IN PERICOLO L’UNICO POLMONE INDUSTRIALE CHE ESISTE NELL’AREA
SE NON SI HANNO ALTERNATIVE”
«Quella meravigliosa città sull’acqua che si chiama
Venezia se si spopola diventa Pompei. E allora prima di mettere in pericolo
l’unico polmone produttivo che ha e che è il porto bisognerebbe pensarci due
volte, proporre alternative, altrimenti, gentilmente, tacere».
Pino Musolino ha
38 anni, presidente del Porto di Venezia da due mesi, è arrivato a guidare
l’Authority della Laguna, forse la più complicata d’Italia, mandando un
curriculum e facendo il primo colloquio via Skype mentre era in metropolitana a
Singapore, ultima tappa di una lunga esperienza costruita sul campo dello
shipping globale dopo la laurea in Giurisprudenza e il master all’University of
Wales.
Dopo il disastro della Concordia come vi comportate sui
giganti delle crociere in una città così delicata? «Ci sono state una
disinformazione colpevole e una psicosi collettiva mai viste. Si è discusso per
anni per arrivare a cosa? È un gioco dell’oca dove torniamo sempre al punto di
partenza. Prima della Concordia nessuno aveva detto una parola. Poi un giorno
ci si sveglia sull’onda dell’emozione e si decide che non c’è accessibilità
nautica a Venezia.
Nel canale della Giudecca, navigato da oltre mille anni, ci
passavano navi di carbone. Non significa che non intendiamo trovare una
soluzione alternativa, la troveremo ma non esiste un solo fatto concreto che
sancisca lo stato di emergenza ambientale o di sicurezza che ci hanno voluto
far credere.
Esiste invece un dato concreto, il calo delle crociere,
il calo dei crocieristi che sono turismo di alta qualità per Venezia, la riduzione
dei fatturati per le aziende del territorio, e rischi occupazionali connessi a
questo andamento».
Quale soluzione state esaminando? «Quella del canale
Vittorio Emanuele. Ma il punto non è questo. Sono veneziano e comprendo
l’impatto di vedere una nave davanti a San Marco, e siamo concordi che non ci
debbano passare. Le chiacchiere producono un inutile brusio di fondo che fa
male a Venezia. Noi siamo l’unica alternativa produttiva di questa città
rispetto alla monocultura turistica. Il Nordest industriale senza questo porto
non esisterebbe. Ma le crociere sono il 10% del traffico, siamo molto di più».
Nel passato le tensioni con Trieste non sono mancate, la
nuova riforma varata dal Governo consentirà una maggiore collaborazione? «La
questione della competizione interna tra porti italiani mi sembra ridicola.
Preoccupiamoci che ci siano scali come Koper che crescono del 43% e non se
Venezia e Trieste si possano portar via qualche container. Venezia è forte sul
commerciale, Trieste sull’industriale, abbiamo un’impostazione complementare».
Il suo predecessore aveva immaginato un porto off shore
per consentire lo sviluppo dei container. È finito nel cassetto? « Io ritengo
che prima di imbarcarsi in investimenti faraonici bisogna far rendere al
massimo quello che si ha. Nelle grandi rotte di transhipment il nord Adriatico
non c’è, quindi di che parliamo? Inoltre un investimento di 2,2 miliardi di
euro, come era quello previsto sarebbe potuto arrivare a break even con
un’ipotesi di 6 milioni di teus. E nel Nord Adriatico nessuno di noi arriverà
ad una tale cifra »
Quindi non si farà? « A Venezia abbiamo un’area
incredibile che si chiama Porto Marghera che consentirà la realizzazione di una
piattaforma logistica straordinaria, la semilavorazione in porto e quindi
sviluppo per il tipo di manifattura che oggi conosciamo. Nel 2020 entrerà in
funzione il Mose alla Bocca di Malamocco, lì ci potrà essere lo spazio per due
attracchi per navi lunghe oltre 400 metri e il fondale adeguato.
Con un investimento dieci volte inferiore all’off shore
si può ottenere lo stesso risultato. Posso io, sano di mente, non considerare questa come
soluzione alternativa? »
(r.pa.) (15
maggio 2017)
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