ECCO L'INDIRIZZO PER LEGGERE L'ARTICOLO SUL
SITO DI AFFARI E FINANZA
SUPPLEMENTO DI LA REPUBBLICA
Le supernavi dello shipping senza più clienti
IL TRASPORTO
MARITTIMO È IN PIENA CRISI PER LA CADUTA DEL COMMERCIO MONDIALE, LA DISCESA DEL
PETROLIO E DELLE COMMODITIES E PER IL GIGANTISMO MIOPE DELLE COMPAGNIE
ARMATORIALI. PESANTE L’IMPATTO SULLE BANCHE CREDITRICI
Eugenio
Occorsio
Il 26 aprile 1956 il
primo container fu portato a bordo della Ideal X, una nave della danese Maersk,
da Port Newark nel New Jersey, a Houston, Texas. Il sessantesimo compleanno non
poteva essere più carico di angosce. Il settore dei container, e dell’intero
shipping marittimo che comprende anche il trasporto
delle petroliere e delle
“rinfuse” (carbone, granaglie, coils di acciaio, minerale feroso), è in
profonda crisi. Non esistono dati consolidati, ma si calcola che per i soli
container le perdite siano state di non meno di 15 miliardi di dollari, il
quarto anno consevutivo con i bilanci in rosso.
«È peggio che nel 2008», ha
sentenziato Nils Anderson, che della Maersk, diventata nel frattempo la prima
compagnia di shipping del pianeta, è il Ceo. L’indice Dry Baltic che misura
l’andamento del settore, è sceso da quota 1201 del 6 agosto 2015 ai 624 del 23
maggio, ed era sprofondato fino a 290 il 10 febbraio, il livello più basso di
tutti i tempi, non a caso in coincidenza con il livello minimo dei prezzi del
petrolio (28,4 dollari al barile Brent negli stessi giorni).
Poi l’ex oro nero
si è risollevato fino agli attuali 50 dollari, ma per una compagnia di
shipping, ha ammonito Anderson, il break-even si colloca sopra i 55 dollari per
barile, e servirà tempo per recuperare le perdite. Qui sta il primo motivo
della crisi dello shipping: i prezzi del greggio che lo scorso anno hanno
conoscendo una debacle senza precedenti. In questo caso il profitto per il
vettore è proporzionale al
valore delle merci trasportate.
Ma determinanti sulla crisi dello shipping sono
la debolezza del commercio mondiale, il crollo delle commodities, il
rallentamento della Cina ad esso collegato, e ancora la sovraccapacità che si
era creata negli anni delle vacche grasse e che ora è difficile da smaltire.
Risultato: tutti i giganti del settore stanno attuando piani di
ridimensionamento, ristrutturazione, diversificazione.
«Soprattutto nel caso
dei container c’è stata un’ondata di gigantismo alla quale ha coinciso una
contrazione del mercato perchè con i container si trasportano soprattutto
generi domestici e i consumi sono in crisi in occidente», commenta Pierluigi
Maneschi, presidente dell’Italia di Navigazione del gruppo Evergreen.
Lo
spettacolo che offrono i porti merci da Singapore a Rotterdam, da Hong Kong a
New York, è sconfortante: decine di enormi navi alla fonda, immobili e cariche
di petrolio che non sanno più dove scaricare perché i serbatoi sono pieni di
invenduto o di merci che nel frattempo si sono così svalutate che non è più il
caso di venderle.
«È il peggior momento per quest’industria degli ultimi 60
anni», scrive il Financial Times. Da quando, appunto, fu inventato il container
e intorno ad esso si imperniò la nuova giovinezza dell’elite dei gruppi di
navigazione mondiali.
La Maersk che era nata nel 1904 per portare i semi
“coloniali” dall’Africa al nord Europa, ha fatto costruire navi sempre più
colossali fino alla categoria della “tripla E” ( Energy, Efficiency,
Environmentally- improved ) capace di portare 18mila Teu. La francese Compagnie
Générale Maritime, che aveva vissuto momenti di gloria fin dal 1855 portando
passeggeri fra le due sponde dell’Atlantico con navi storiche come il Normandie
e il France, si è fusa con la Compagnie Maritime d’Affrètement che era
specializzata nel trasporto merci ma ancora nel 1978 aveva solo una nave sulla
linea Beirut-Lattakia-Livorno-Marsiglia, e ha creato il terzo gruppo mondiale
con navi in grado di portare 16-17mila Teu (l’unità di misura del settore che equivale
a 6,80 metri, mezzo o un container a seconda delle dimensioni).
Analoga storia
per la Hapag- Lloyd di Amburgo, nata nel 1874, e anche di tante compagnie
giapponesi, cinesi, coreane. Tutte si sono gettate con investimenti
plurimiliardari nel business dei container varando navi sempre più grosse,
potenti e costose, e hanno ora impattato contro la cruda realtà. I tempi
dell’acquisto delle supernavi non potevano essere scelti peggio perchè
concentrati nella prima metà degli anni 2000. Dopo la crisi del 2008 i commerci
mondiali sembravano essersi ripresi, ma poi sono nuovamente crollati: lo
Shanghai Containerised Freight Index, che calcola quanto le compagnie vengono
pagate per ogni container, è ai livelli minimi dalla sua creazione nel 1998. Il
noleggio di un container costa 600 euro, contro i 1500 di pochi anni fa.
E il
commercio mondiale è da cinque anni che registra tassi di crescita negativi.
«Mentre l’offerta lievitava il commercio scendeva», conferma Andrea Clavarino,
ad di Coe&Clerici Logistics e presidente di Assocarboni oltre che membro
del board Confitarma. «Nei momenti d’oro, con l’idea che il commercio potesse
crescere chissà quanto, perfino i fondi di private equity si sono gettati in
questo business con intenti speculativi, ricavandone perdite cocenti. Oggi
assistiamo al paradosso che vengono smantellate anche navi di 15 anni di vita
contro i 25-30 di media precedenti. Speriamo che per fine anno offerta e
domanda si riequilibrino».
Jonathan Roach, analista del broker specializzato
Braemar, parla di “tempesta perfetta” che semina perdite e licenziamenti.
Con
conseguenze a catena sul sistema bancario e assicurativo nordeuropeo,
giapponese e americano, pesantemente esposto verso un settore capital intensive
: «L’eccesso di capacità è diventato strutturale e quel che è peggio è che,
come per i campi petroliferi, proprio quelli che sono all’origine del disastro,
ci sono massicci investimenti in corso che non si possono bloccare ». Nuove e
più grandi navi vengono costruite soprattutto nei cantieri tedeschi, polacchi e
coreani, con la certezza che andranno in perdita.
Perfino l’apertura del Canale
di Panama “allargato” del 26 giugno, con 80 capi di Stato già invitati, acuirà i problemi, «perché metterà pressione sulle compagnie per liberarsi delle navi
più vecchie e piccole per dare spazio a quelle più grandi per le quali il
canale è concepito, le uniche che avrà un senso farci passare visti i prezzi di
pedaggio: ma sull’economicità dell’operazione non c’è da scommetterci».
Ron
Widdows, consulente del settore nonché ex-Ceo della Neptune Orient Lines, è
stato ancora più esplicito parlando al Daily Telegraph (Londra è la capitale
dei noli fin dai tempi delle colonie d’oltreoceano): «Il comparto del container
shipping è completamente devastato». La via di fuga per le compagnie è il
consolidamento.
La Hapag-Lloyd di Amburgo ha avviato il mese scorso le
trattative per la fusione con la United Arab Shipping Company degli Emirati. La
francese Cma-Cgm ha annunciato l’acquisto per 2,4 miliardi di dollari della Neptune
Orient Lines di Singapore. Pochi giorni fa le due maggiori compagnie statali
cinesi, la Cosco e la China Shipping, hanno deciso di fondesi e chiamarsi China
Cosco. Intanto gli stessi protagonisti sono all’affannosa ricerca di
partnership: è appena nata la Ocean Alliance fra la già citata Cma-Cgm e la
stessa Cosco, allargata alla taiwanese Evergreen e all’Orient Overseas
Container Line di Hong Kong. Negli stessi giorni tre grosse compagnie
giapponesi - Mitsui Osk, K Line e NYK - hanno dato vita al consorzio The
Alliance con la stessa Hapag- Lloyd, la Yang Ming di Taiwan e la sudcoreana
Hanjin Shipping.
Quest’ultima ha il poco invidiabile record di aver perso il
35% di fatturato negli ultimi quattro anni. La corsa per non affondare, è il
caso di usare questo termine, è partita.
NOTA DI FAQ TRIESTE : Un articolo su Affari&Finanza non basterà a raggiungere il grande pubblico ma è un ulteriore passo nella direzione di far conoscere anche questa versione "critica" e "scettica" sul gigantismo navale. I nostri lettori, non subiranno alcun shock da questa notizia e non si troveranno imbarazzati a leggere una nota dove le megaportacontainer vengono definite "zombie". Immaginatevi la reazione di un lettore de IL PICCOLO o di altri quotidiani locali di Venezia ad esempio quando tra qualche mese verranno a sapere che esistono anche altri punti di vista. Voi continuate a concedervi un vantaggio sull'informazione, continuate a leggere FAQTRIESTE.







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