Il Confine dei Giganti è l’indovinato titolo del convegno
organizzato a Roma da Federagenti per il
prossimo 16 dicembre.
L’obiettivo della discussione sarà quindi la possibilità
di porre un limite al gigantismo navale, o meglio di fissare il punto di
crescita dopo il quale gli eventuali benefici diventano inesorabilmente dei
danni rilevanti.
Quando cioè le cose della vita vanno “ Di bene in peggio
“ come nel libro di Paul Watzlavick dal quale andiamo a rubare alcuni passaggi.
Iniziamo dal sottotitolo che in questo caso applichiamo
all’argomento che stiamo trattando:
IL GIGANTISMO NAVALE Istruzioni per un successo
catastrofico
Siamo rimasti sorpresi che in un libretto di analisi dei
comportamenti
umani, scritto qualche decennio fa l’autore portasse come esempio
proprio il gigantismo navale di allora, quello delle super petroliere.
Leggere
per credere: … E’ molto più antieconomico
trasportare un certo quantitativo di petrolio con due petroliere piccole
piuttosto che con una petroliera a doppia capacità di carico. Raddoppiarne o
addirittura quintuplicarne il tonnellaggio parrebbe quindi la soluzione più
ovvia. Con grande meraviglia degli esperti, tuttavia, una maggior quantità di
una cosa non è più la stessa cosa: a partire da un certo tonnellaggio questi
giganti si comportano infatti in maniera diversa, imprevedibile rispetto ai
loro più piccoli predecessori. Alcuni dei gravissimi incidenti che hanno
coinvolto le petroliere negli ultimi decenni – avvenuti in pieno giorno e con
il mare calmo – sono riconducibili alla scarsa manovrabilità di queste navi.
Nel libro l’autore ci propone un ulteriore esempio non
marittimo ma riconducibile al gigantismo nelle soluzioni che l’autore contesta
e critica.
Nulla sembra più logico del supporre che una certa soluzione, una
volta trovata e sperimentata, possa essere applicata dopo adeguata
moltiplicazione a problematiche più ampie. Cento volte tanto, però, solo nella
matematica pura è davvero cento volte tanto.
Il
secondo caso è più istruttivo.
Onde proteggere prima del lancio i propri enormi
razzi dagli influssi atmosferici - in
particolare da pioggia e fulmini – l’ente spaziale americano decise di
edificare un hangar di grandezza sufficiente a contenerli. Gli hangar si
costruiscono ormai da decenni, e non ci volle molto a moltiplicare per dieci i
progetti del più grande hangar esistente.
Come afferma John Gall nel suo
interessantissimo libro Systemantics, ci si accorse allora con puntuale
meraviglia degli esperti, che uno spazio vuoto di queste dimensioni ( si tratta
del più vasto edificio nel mondo ) produce un proprio clima interno, con nuvole
e pioggia e scariche di energia elettrostatica: proprio i fenomeni dai quali ci
si sarebbe dovuti proteggere.
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