mercoledì 11 marzo 2015

TARANTO SENZA CONTAINER OVVERO LO STRAPOTERE DEI TERMINALISTI

Da fine dicembre 2014 al terminal container di Taranto non è arrivato nemmeno un container. Nel 2011 il terminal aveva realizzato 604.000 teu , poi Evergreen aveva lasciato le banchine pugliesi,

In quale porto italiano sono stati trasferiti da Evergreen questi volumi di traffico importanti ? 
A Trieste la ex presidente dell'APT indicava come eccezionali i 476.500 teu del Trieste Marine Terminal.
I volumi di traffico container che passavano per il porto di Taranto la Evergreen li ha trasferiti nel porto del Pireo ( Grecia ) e non sono andati ne a Trieste ne a movimentare altri porti italiani.




I portuali non sbagliano quando citano il solito ricatto dei terminalisti sul fatto che abbandoneranno lo scalo triestino se non verranno soddisfatte tutte le loro richieste.

La cronaca di quello che sta succedendo a Taranto dovrebbe far riflettere anche i politici sul rapporto di fiducia illimitato che stanno offrendo ad alcuni operatori portuali in particolare.

A Taranto e Trieste i protagonisti sono gli stessi, basta andare sul sito della TO Delta per trovare il Trieste Marine Terminal e il Taranto Container Terminal. I progetti, le promesse, gli impegni presi e rimandati nel tempo si assomigliano. Leggiamo quindi l'articolo dell'autorevole Sole24ore cercando di far tesoro delle disavventure altrui.

Taranto resta senza container

Situazione incandescente al porto di Taranto dove, da fine dicembre, il terminal container è chiuso alle operazioni commerciali. Il che significa che, sulle banchine di uno dei tre porti di transhipment italiani, dall’inizio del 2015 non è arrivato neppure un container. 

Un dato allarmante se si pensa che nel 2011 (ultimo anno prima della decisione di Evergreen di lasciare le banchine pugliesi) erano stati movimentati 604mila teu (contenitori da 20 piedi).

Per questo l’Autorità portuale, se non arriverà una svolta durante l’incontro con il Governo previsto per domani, sta pensando di dichiarare la decadenza, per mancato utilizzo della banchina, della concessione in mano alla società Taranto container terminal (Tct), composta da Hutchinson Whampoa (50%), Evergreen (40%) e Gsi (gruppo Maneschi, 10%).

A illustrare la situazione dello scalo è Sergio Prete, presidente dell’Autorità portuale nonché commissario per i lavori in corso sui moli. 

Lavori per l’allungamento della banchina container, per i dragaggi dei fondali (che devono passare dagli attuali -14 metri a -16,5 nel punto più fondo) e per la realizzazione della nuova diga foranea. 

Opere che si protraggono da anni, rallentate da questioni burocratiche (il porto di Taranto è un’area Sin, cioè sito di interesse nazionale) ma anche da ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato delle ditte escluse al termine delle gare d’appalto.

«I primi segnali di preoccupazione per il porto – afferma Prete – li abbiamo avuti a fine 2011, quando Evergreen (società al 5° posto nella top ten mondiale di compagnie portacontainer, azionista e fruitore del terminal Tct, ndr), ha spostato il 50% delle sue linee da Taranto al Pireo, denunciando un calo della produttività, del porto italiano.

«Per bloccare l’esodo – prosegue Prete – con l’appoggio degli enti locali e dei ministeri competenti, abbiamo sottoscritto un accordo nel 2012 per far partire una serie di adeguamenti infrastrutturali a Taranto». 

Per i lavori su banchina, fondali e diga foranea sono stati stanziati 189 milioni di risorse pubbliche (tra port Authority, Regione Puglia, fondi Ue e ministero dell’Ambiente). Anche i privati avrebbero dovuto partecipare alla trasformazione del porto con investimenti per 50 milioni. 

Ma poi, con le gare d’appalto, sono iniziati i conteziosi. Così, nel settembre 2014, continua il presidente dell’Autorità portuale, «mentre venivano consegnate le banchine alla ditta che aveva vinto la gara per il loro riassetto, Evergreen ha portato al Pireo i traffici che restavano (l’anno scorso Taranto ha totalizzato 148mila teu, ndr) 

Da fine dicembre, il terminal è completamente chiuso e rischia di restarlo fino alla consegna del primo lotto di lavori, nel gennaio 2016.

«Dopo una prima riunione alla presidenza del consiglio, con il sottosegretario Graziano Delrio – afferma Prete – l’11 marzo ci sarà un nuovo incontro a Roma.

Faremo presente che sono stati fatti i passi avanti nelle procedure per velocizzare i lavori ma vogliamo chiedere anche il rinnovo della cassa integrazione per il lavoratori, che scade a maggio, e, al terminalista, che venga garantita un’operatività minima del la banchina. Noi teniamo ai nostri operatori e faremo di tutto per tenerceli. Ma se non avremo risposte di garanzia, l’unica strda da percorrere è la decadenza, per non uso, della concessione. Saremo felici di operare con gli attuali gestori del terminal ma se non sarà possibile ce ne faremo una ragione».


Raoul de Forcade - Il Sole 24 Ore - leggi su SOLE24ORE

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