Andiamo nuovamente fuori regione e fuori Trieste per capire qualcosa del dibattito in corso sulla "RIFORMA DEI PORTI" . Trieste, che a seconda delle classifiche può anche risultare prima tra i porti italiani, è sicuramente fuori dal dibattito nazionale sulla SBLOCCA PORTI voluta da Renzi e Lupi.
La curiosità: la posizione della presidente Serracchiani in sintonia con il ministro Lupi ?
Buona lettura
Arriva la riforma portuale dei sospiri e tutti tirano la
giacchetta di Renzi
23/08/2014
Le tesi contrapposte di Lupi
e della lobby genovese di Burlando – Si profila anche una delusione sull’attesa
semplificazione per i dragaggi – Il ruolo di Assoporti nel dibattito.
ROMA – Si ricomincia da dove
eravamo rimasti a fine luglio: per la riforma dei porti, le due scuole di
pensiero che si erano confrontate e scontrate, quella del ministro Maurizio
Lupi e quella del governatore della Liguria Claudio Burlando, non sembrano essersi
avvicinate.
Semmai a fianco di Lupi si è
molto mossa Debora Serracchiani, importante vicepremier molto sentita da Renzi.
Ma il dibattito rimane
aperto: tra la tesi di Lupi, di accorpamenti tra Autorità portuali che ne
salvino però la matrice di enti di Stato con guida decisa da Roma; e la tesi
espressa da Burlando in una lunga lettera di fine luglio, quando chiedeva che
nascessero delle vere e proprie Spa portuali, sia pure ad azionariato pubblico
(90% dello Stato, ha proposto Burlando, e 10% delle regioni di competenza).
La scelta uscirà dal
decretone “Sblocca Italia” tra qualche giorno. E si accettano scommesse.
Luigi Merlo, presidente
dell’Authority di Genova, è allineato con Burlando e ovviamente bacchetta le
soluzioni che la stessa Assoporti – da cui è uscito clamorosamente, dopo
esserne stato presidente e vicepresidente in due mandati – sembra preferire,
più in linea con Lupi che con Burlando.
Dalle file di Assoporti –
dove il riconfermato presidente Pasqualino Monti è quasi giornalmente a consulto
con il ministro – arrivano assicurazioni che il ministro e l’intero governo
sono in continuo contatto con Renzi e Serracchiani perché la riforma, questa
volta, non rimanga un bluff, una montagna che partorisce un topolino.
Dicono che Renzi sia tirato
per la giacchetta da tutte le parti, ciascuna vantando le proprie benemerenze
(e i propri pezzi grossi) nel governo. Ma nessuno ignora che se riforma sarà
davvero, imporrà cambiamenti epocali anche con l’accorpamento in sole 15
Autorità invece delle 5 o 6 che voleva Lupi.
Dalla legge inoltre ci si
aspetta anche un definitivo svincolo delle cervellotiche e frustranti normative
sui dragaggi portuali che oggi condizionano pressoché tutti i porti italiani: e
sotto questo aspetto, chi conosce la bozza definitiva della riforma si dice
deluso e preoccupato.
Tanto che alla fine nel mare
magnum delle anticipazioni e delle bufale, sembra saggio aspettare di vedere le
scelte ufficiali. Ovviamente, incrociando le dita.
(Fonte: "La Gazzetta
Marittima - A.F.)
ANCHE A GENOVA SI DISCUTE
di Giorgio Carozzi
ANCHE A GENOVA SI DISCUTE
di Giorgio Carozzi
02 agosto 2014
Porti, l’albero della cuccagna per il clan dei riformisti di
periferia
UN PRIMO OBIETTIVO l’hanno raggiunto agevolmente: lasciare
le cose come stanno, continuare a lucrare sulle rendite di posizione, gli
interessi personali, le presidenze, le prebende, i commissari, gli affari e il
controllo delle periferie portuali. Poi si vedrà. Questo passano il convento
delle riforme e la cucina del potere del nuovo centrosinistra: un continuo
bluff per mischiare la carte. Governo e maggioranza stavano per confermare i
porti come riserva di caccia per la politica della conservazione, ritagliandosi
un’agibilità di manovra addirittura impensabile con la vecchia legge 84/94. E
consegnando alla sola discrezionalità del ministro la nomina dei presidenti
delle Autorità portuali, per i quali sarebbe stato sufficiente aver ricoperto
ruoli istituzionali o amministrativi. Splendido lasciapassare per piazzare
uomini di partito.
Forse neppure i due maggiori sponsor del maquillage al
ribasso (la vice di Renzi Debora Serracchiani e il senatore Marco Filippi),
pensano davvero che basti dimezzare il numero delle Autorità portuali o ridurre
il peso dei Comitati per scardinare gli interessi di apparato che ruotano
intorno ai moli. Sembra quasi che il problema drammatico non sia adeguare il
sistema portuale italiano alle regole del mercato mondiale, ma trovare – ad
esempio – un’alchimia politica dorotea che consenta a Genova e Savona di
dichiararsi come un unico porto, senza minimamente esserlo. Del resto, come fa
Savona a camminare a cavallo di Assoporti e a perorare contemporaneamente la
proposta di Burlando (una spa per i due scali) per salvarsi? Se Genova e Savona
devono stare insieme perché solo così si pianifica meglio il futuro, si
aumentano e razionalizzano i traffici, si accrescono occupazione e ricadute sul
territorio, l’operazione si deve fare senza più sbandare. Per il bene comune.
Ma se così non fosse, è inutile anche continuare a parlarne.
Debole e inconcludente, all’indomani dello stop imposto al
suo decreto di riforma addirittura peggiorativo della legge 84/94, il ministro
Lupi resta con il cerino in mano dopo aver avuto la partita in pugno. E adesso
rischia il commissariamento da parte di Renzi: si parla di un provvedimento
legislativo, in elaborazione nel mese di agosto… La farsa continua. In questo
panorama grottesco, il minimo che Luigi Merlo potesse fare era sbattere la
porta e ritirare l’Autorità portuale di Genova da Assoporti, l’associazione
guidata da Pasqualino Monti di Civitavecchia, la cui sola missione sembra
quella di mascherare i buchi neri dello shipping. Il Re è nudo. L’economia del
Paese sta crollando, non si creano le premesse per recuperare lavoro e
traffici, non si investe dove si dovrebbe e si dilapida altrove per esigenze di
partito. Ci sono porti che vedono diminuire le navi, altri impegnati a
realizzare opere inutili, altri ancora che girano il mondo per promuovere il
nulla.
Se dopo il ritorno della Concordia è ormai certificato agli
occhi del mondo che l’unico motivo di orgoglio e di valore per Genova è il
porto, perché mai Palazzo San Giorgio non avrebbe dovuto rompere con
un’associazione che conta più commissari che presidenti? E che tenacemente si
aggrappa sotto traccia a una politica esattamente opposta a quella che dovrebbe
salvaguardare presente e futuro dello shipping nazionale? C’è un porto che
funziona, che tira, che si è conquistato la Concordia proprio contro
Civitavecchia e Piombino e poi ci sono la maggior parte dei porti che
arrancano, in mano a commissari incompetenti e a presidenti autoreferenziali.
Almeno sulla carta, il quadro è ben delineato: Genova vuole una vera riforma e
gli altri frenano, perché temono di perdere le loro briciole di potere.
Per una volta Genova ha avuto un sussulto di orgoglio,
adesso coerentemente deve indicare la strada di una riforma vera, che dia un
senso alla governance e un ruolo produttivo e logico a tutti i porti. Il
problema non è certo legato al numero delle Authority, semmai all’integrazione
di alcuni grandi porti nelle reti logistiche europee o a una legge speciale
modellata per tre o quattro scali di reale interesse internazionale. Serve a
tempo di record un’idea alternativa di sistema e anche di associazionismo
rappresentativo dei porti e delle categorie imprenditoriali, capace di
contrattare realmente e non di cercare compromessi con la politica. Tocca al
governatore Burlando utilizzare il suo rapporto con Renzi, per fargli
comprendere l’importanza di questo passaggio. Possiamo temere un autunno buio e
senza speranza oppure l’avvio di una stagione scoppiettante, con una proposta
coraggiosa del governo. In fondo, che cosa ci sarebbe di più renziano che la
rottamazione di una portualità finita?
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