In due parole e tre punti abbiamo segnalato che (1) l'articolo ci sembrava troppo entusiasta, (2) che la sdemanializzazione del Porto vecchio ottenuta dall'allora senatore Francesco Russo era cosa diversa dallo sviluppo dei traffici portuali merito dell'Autorità di Sistema Portuale, (3) che il sindaco Dipiazza stava ampliando la raccolta di progetti sullo stesso Porto Vecchio, raccolta che va avanti da quasi vent'anni senza realizzazioni.
Con questi precedenti abbiamo letto molto volentieri la "puntata" triestina dell'articolo apparso su La Repubblica dove Paolo Rumiz mette i puntini sulle " i " e richiama il Sindaco ricostruendo alcuni passaggi e riferimenti a presidenze precedenti che sono ben comprensibili ai lettori triestini.
Siamo quindi ben felici di condividere con i nostri lettori non triestini alcuni passaggi dell'articolo che in qualche modo coincidono con gli appunti che avevamo scritto sul blog. Non vogliamo prenderci alcun merito, sappiamo che si tratta certamente di una coincidenza e che Paolo Rumiz non legge il nostro blog. Quindi da parte nostra nessun merito e nessuna responsabilità.
TRIESTE DAVANTI AL BIVIO DECISIVO
di Paolo Rumiz IL PICCOLO
Ahi. Si comincia col piede sbagliato: un palacongressi
fatto in casa, premessa di una gestione-spezzatino del Porto vecchio. Cose
come: mettiamo le ambulanze qui, i crocieristi lì, spostiamo più su la marina e
più giù il centro scientifico.
Mi chiedo se ci sia davvero voglia di imparare
dall’estero, da posti come Barcellona o Bilbao, dove si sono mobilitate
intelligenze da tutto il mondo per trovare idee buone con concorsi trasparenti.
Trasparenza significa: meno rischio di corruzione e più garanzia di qualità,
dalle quali discende l’interesse di un’imprenditoria solida, dunque ricchezza.
Questo grande momento non possiamo affrontarlo da soli.
Non può farlo nemmeno
un sindaco smagato e comunicatore come Roberto Dipiazza. È tecnicamente
impossibile. Serve attingere a esperienze vincenti. Uscire dal guscio. Invece
che accade?
Ad Amburgo, dove mi trovavo per l’uscita d’un mio libro, ho appreso
da un operatore che mesi fa il sindaco di Trieste era stato invitato a vedere i
risultati della riqualificazione del porto vecchio anseatico, ma all’ultimo
momento ha detto «non vengo», con non poca irritazione dei tedeschi.
E’ sorprendente, perché il porto di Trieste è una sfida
europea, che va affrontata con un concorso di idee europeo. Esattamente come
Amburgo. Siamo a un bivio decisivo.
Se gestiamo la cosa tra amici, con spirito
provinciale da agenti immobiliari, e senza una precisa idea di città, tradiremo
l'identità triestina, importeremo capitali sospetti, costruiremo male e ci
spartiremo una magra torta, allontanando gli investitori che contano.
Faccia le
valige dunque caro Dipiazza. Non si limiti a ricevere clienti nel suo ufficio
con la mappa di Trieste sul tavolo. Se il porto sta crescendo negli ultimi mesi
è perché il suo presidente passa settimane, se non mesi, a Pechino, Dubai, New
York.
In altri termini, perché si è rotto il catenaccio degli affari tra amici,
imposto in passato dagli alleati meno affidabili del nostro primo cittadino.
Apertura contro maso chiuso. Imprenditoria contro cricca. Competizione contro
favoritismi.
Sindaco, lei lo sa. È nel nome di Trieste che abbiamo deciso di
seppellire l'ascia di guerra ed è sempre nel nome di Trieste che giorni fa le
ho offerto un'apertura di credito di lusso con due pagine su Repubblica
dedicate al grande momento, svegliando il resto della stampa nazionale sul
tema.
In quella occasione lei mi aveva dichiarato che quel risultato era stato
ottenuto grazie a un grande "patto civico" con l'opposizione, e in
particolare con la governatrice Serracchiani, della quale mi pure ha tessuto le
lodi.
Perché è stata Debora, e non i suoi alleati, a sbloccare i punti franchi
(decreto operativo che mancava dal '54) e a puntare sull'ottimo D'Agostino alla
presidenza del Porto. Decisioni storiche, come l'istituzione della franchigia teresiana.
Lei ha ereditato da altri un'immensa fortuna. Le scelte regionali, l'onesta
gestione Cosolini, i fondi del ministri della cultura per Trieste città europea
della scienza e molto altro.
Tutte cose avute - e lei lo sa - non grazie ma
nonostante la sua parte politica. Nonostante i vari Camber, Paoletti, Monassi,
i loro poteri dinastici e i loro sempre più magri pacchetti di voti. Ora
rifletta: lei ha uno straordinario patrimonio di popolarità. Non lo butti via.
Mostri di saperlo gestire in libertà; lo usi per affrancarsi da certe compagnie
attente non a Trieste ma al loro tornaconto.
E qui, dopo che al sindaco, mi rivolgo all'opposizione.
Perché voi di Sinistra non dite: caro Dipiazza, magari noi ti diamo ancora una
mano, ma tu devi scegliere se passare alla storia come colui che ha rilanciato
la città o come chi ha buttato alle ortiche una straordinaria, irripetibile
occasione.
Perché tacete su questo persino in campagna elettorale? Per tattica?
Per storica mancanza di coraggio? Per colpa di Renzi?
Per la speranza di avere
gli avanzi del banchetto?
E già che ci siamo, dove sono gli ordini
professionali? Don Abbondi anche loro, silenziati con promesse, oppure teste
capaci di spremere idee coraggiose? E la pubblica opinione è disposta ad
allargare il dibattito oltre la gestione dei marciapiedi e l'adozione di gatti
abbandonati? E i giovani dove sono? Si battono per un grande futuro o
preferiscono sorseggiare aperitivi in vista di fare, se gli va bene, i
camerieri ai turisti giapponesi?
E sì che ce ne sono di argomenti su cui far
polemica. I vigili pistoleros, per esempio. Perché spendere cifre esagerate in
armi e blindati, quando potremmo dar lavoro a un po' di gente?
Che bisogno
abbiamo di dare l'immagine di una Trieste insicura quando i reati sono in netta
diminuzione? Perché spaventare gli stranieri pronti a investire in città? A chi
giova tutto questo? Esorto il sindaco a porsi questa domanda. Qui non c'è
paura, ma voglia di generarla. A che scopo?
Rappresentare un pericolo esterno
(l'immigrato nero brutto e cattivo) per depistarci dal vero pericolo, che è
interno. Il nostro provincialismo. Le inaffondabili mafiette locali che da
sempre tolgono ossigeno a Trieste.
ARTICOLI COLLEGATI SUL NOSTRO BLOG :
L'articolo di Paolo Rumiz su La Repubblica clicca qui
Gli appunti e le domande di FAQTRIESTE clicca qui
Nel caso Paolo Rumiz attenda le risposte sappia che non è il solo, siamo almeno in due. Sull'elenco degli assenti in quanto portatori di interesse collettivo , con umiltà , mi permetto di evidenziare che nella lista son assenti le Organizzazioni Sindacali , cosa che rende lo scritto di Rumiz cogente per il bene della città e penso di non sbagliare se scrivo anche della Regione
RispondiEliminaVisto che il piatto viene presentato,non è creanza lasciarlo senza commenti. 1)Di Piazza è quello che è ma Cosolini è il suo 'alter ego'; entrambi fermamente partigiani di un uso non portuale del porto .2)D'accordo su certi personaggi,ma alla C.C.I.A mi pare si voti,o sbaglio? 3)Cosa c'entri oggi Trieste con Amburgo,mi sfugge.Una figura retorica? Un tempo certamente, ma ora ne è passata d'acqua nell'Elba. Amburgo ha sempre il suo Senato e noi non abbiamo nulla 4) Gli stranieri pronti a investire in città! Dove sono? Si dichiarino! Ad oggi abbiamo solo una utilizzazione del disposto dell'Allegato VIII pro Seleco e Saipem, cioè solida produzione e ricerca industriale.Forse che qualche 'investitore' teme che le garanzie date dalle leggi italiane sul nostro porto non siano di ferro,che il Trattato prevalga comunque e che quindi anche i suoi denari sarebbero esposti?Pur essendo una eventualità remota,l' 'investitore' non sbaglia! Naturalmente,da lettore, è molto probabile che non conosca le 'secrete cose'.5) Comunque si giri la frittata, bisogna chiarire alcuni punti a)Gli allegati dal VI al IX del TdP sono stati aboliti ? Se sì, il problema non si pone. Altrimenti tutte le leggi ,norme , ammenicoli non valgono una pipa di tabacco perchè la superiorità risiede sempre nel Trattato Internazionale cui sono subordinati tutti gli altri sviluppi che non possono confliggere con il Trattato.Tutto si può fare, cioè imporre anche la fantasia al potere ma con l'accortezza, la certezza o speranza che un eventuale, possibile,remoto, casuale,opportunistico richiamo alla realtà non faccia cadere il castello di carte e di carta.6) Alla fine della fiera la questione è sempre la stessa: il Punto Franco Vecchio è e sarà operativo come porto oppure no? La decisione per il no, allo stato dei fatti e nella pur ipotetica applicazione del Trattato, mantiene in ogni caso vivo uno stato di precarietà.
RispondiEliminaLETTERA APERTA A PAOLO RUMIZ: "HAI RAGIONE A VOLERE L' INTERNAZIONALIZZAZIONE DI TRIESTE MA TI ILLUDI CHE POSSA AVVENIRE CON LA SDEMANIALIAZZIONE / URBANIZZAZIONE DI PORTO VECCHIO; IDEA SBAGLIATA IN PARTENZA PERCHE' ANTAGONISTA ALL' UTILIZZO PRODUTTIVO DEI PUNTI FRANCHI CHE INVECE SI AFFERMA E CRESCE (vedi Saipem e Seleco proprio nel Punto Franco di Porto Vecchio)" -
RispondiEliminaL' ossessione improduttiva per l' urbanizzazione di Porto Vecchio: un' idea da anni '70 quando è stata praticata in grandi città affluenti su aree molto più piccole e con un fiume di soldi pubblici che non ci sono più.
Vai al blog: https://rinascitats.blogspot.it/2018/04/lettera-aperta-paolo-rumiz-hai-ragione.html