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Terminalisti, esponenti
sindacali e operatori invocano continuità dalla politica «Interrompere questa
spinta istituzionale sarebbe un errore imperdonabile»
Attese e speranze del Porto
«Roma non torni
indietro»
di Giovanni Tomasin
La distesa di cemento
della piattaforma logistica si allunga sul mare al ritmo di 1500 metri quadrati
alla settimana. Uomini e macchinari brulicano in un lavoro ininterrotto. Dalla
finestra del suo ufficio, Vittorio Petrucco, ingegnere e titolare della società
che realizza l'opera, guarda al cantiere come una metafora dello scalo in
questo momento: «In questi anni è stato fatto tantissimo per il porto. Ma c'è
ancora tanto da fare e spero che si continui così».
Le elezioni si avvicinano e
tanti anche all'interno dello scalo si chiedono cosa porterà il cambio al
vertice delle istituzioni. Operai, facchini, spedizionieri, ferrovieri,
terminalisti, amministrativi. Che lo apprezzino o lo critichino, a tutti
interessa il futuro del processo che il segretario generale Mario Sommariva ha
definito il "New Deal" del porto di Trieste.
Il cantiere
Petrucco è un udinese
trapiantato a Trieste ormai da anni. «Occupandomi di costruzioni, non mi ero
mai interessato di logistica», racconta. Con questo lavoro ha scoperto un mondo
nuovo: «Questa è la mia città ora - dice -. Il porto è fondamentale per il suo
sviluppo. Le basi erano state poste già in passato, penso al Piano regolatore,
ma negli ultimi anni si è compiuto un lavoro importantissimo. Spero che
chiunque arrivi al governo, nazionale e in seguito regionale, prosegua su
questa linea, e soprattutto riesca a far capire al Friuli l'importanza dello
scalo per tutto il territorio».
Il sindacato
Stefano Puzzer è invece il
segretario del Coordinamento lavoratori portuali di Trieste, il sindacato
indipendente nato negli ultimi anni all'interno dello scalo. Parla delle
aspettative dei lavoratori, accompagnato dal legale del sindacato Nicola
Sponza, già candidato autonomista alle ultime amministrative. «Lavoro in porto
dal '94 - racconta Puzzer -. Una volta si stava benissimo. Poi per tanti anni
c'è stata una situazione di stasi».
Nel 2014, dopo un problema sindacale,
Puzzer decide di fondare un nuovo sindacato assieme a un gruppo di colleghi:
«Iniziammo a porci il problema dei regimi in porto, e in particolare
dell'Allegato VIII. Sponza e l'associazione Libera Impresa ci diedero un aiuto
importante per capire la questione».
Proprio l'Allegato fu l'occasione del primo
incontro-scontro con la nuova Ap a guida Zeno D'Agostino e Mario Sommariva:
«Organizzammo uno sciopero molto partecipato - ricorda Puzzer -. A posteriori
forse non era nemmeno necessario, ma grazie a quella mobilitazione ci imponemmo
come interlocutori. E imparammo a conoscerci». Iniziò così un confronto sul
tema del Porto franco, sul quale il sindacato e l'Autorità avrebbero scoperto
di capirsi. La conferma la battaglia dell'Ap e delle istituzioni per ottenere
lo sblocco del decreto attuativo: «È stato un cambiamento epocale - dice Puzzer
-. Politicamente va riconosciuto a Debora Serracchiani e al ministro Graziano
Delrio di aver capito la questione e di aver portato a casa un risultato atteso
da settant'anni. Sarà per interesse politico o meno, ma quando uno fa le cose
bisogna riconoscerglielo. Poi ognuno vota quel che vuole». Il Porto franco, in
fondo, è un tema caro a molte forze politiche: «Nel tempo ci sono stati vicini
esponenti del M5S come Paolo Menis, Stefano Patuanelli, Paola Sabia. Anche il
parlamentare Aris Prodani è stato un punto di riferimento fisso a Roma per noi»,
dice Puzzer. L'auspicio del sindacato è che il processo non si fermi: «Il
decreto attuativo era solo il primo passo. Ora stiamo preparando una petizione
per chiedere che i vantaggi fiscali ricadano non solo sulle imprese che si
insedieranno ma anche sui lavoratori».
Chiosa Sponza: «Serve continuità, perché
la cabina di regia è la politica. E tutte le forze politiche devono essere
concordi su questo. Il porto di Trieste ha oggi una posizione nel quadro dei
porti italiani che non aveva mai avuto prima».
I terminalisti
Nel suo ufficio di piazza
Casali, il presidente dei Terminalisti triestini e di Trieste Marine Terminal
Fabrizio Zerbini valuta le possibilità del post voto. «Non posso che dare un
giudizio positivo del lavoro fatto dalle istituzioni in questi anni. Autorità
portuale, Regione, Comune e Provincia, fin che c'era, hanno mostrato che
l'allineamento di pianeti si può fare anche fra forze politiche diverse».
Secondo Zerbini questo impegno ha generato un movimento a favore degli
operatori e dei traffici: «La "cura del ferro" richiesta dal governo
è stata tradotta in pratica dall'Autorità portuale e dalla Regione, dando a
Trieste un ruolo unico nel panorama italiano». L'auspicio di Zerbini per il
futuro è «che questo continui»:
«Comunque vadano le elezioni, nessuno deve
disallineare questa spinta istituzionale. Avere più traffici significa avere
più occupazione. Il porto è di fatto la prima industria del territorio,
un'industria la cui regia sovraordinata deve restare l'Autorità portuale».
Un
appunto anche sui traffici: «I risultati sono estremamente importanti, il
traffico internazionale aumenta. Il traffico nazionale, invece, ha visto uno
spostamento su vicini porti esteri, per questioni di costi e burocrazia. Ecco,
ridurre l'incidenza della burocrazia dev'essere un obiettivo primario per la
politica». Quanto alla guida dell'Autorità, il presidente di Tmt auspica una
lunga durata per il duo D'Agostino-Sommariva: «Fortunatamente non è vicino alla
scadenza. Fanno un ottimo lavoro e ci auguriamo un secondo mandato».Qualunque
sia l'esito del voto, il futuro del porto costringerà il prossimo presidente
regionale a confrontarsi con scenari molto più grandi dei meri confini del
Friuli Venezia Giulia
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