martedì 22 agosto 2017

DECRETO ATTUATIVO SUL PORTO FRANCO : PRIME VALUTAZIONI

Partiamo da un commento sui  tempi che sono stati necessari per
raggiungere l’obiettivo del  decreto attuativo.


La comunità portuale e gli spedizionieri attendevano da 23 anni il decreto attuativo e non hanno mai smesso di sollecitare i rappresentanti politici cittadini affinchè promuovessero nelle opportune sedi la sua approvazione. La sua vicenda si è disgraziatamente intrecciata con quella della sdemanializzazione di parte del Porto Vecchio e questo ha creato molta confusione ed un ritardo in entrambe le questioni, dannosissimo per la città ed il porto.

Vanno ricordate tutte le perplessità sull’utilità del porto franco e le critiche sul mantenimento dello stesso.

Per troppo tempo si è voluto dimostrare l’indimostrabile e cioè che il regime di porto franco non fosse utile, in modo da poterlo eliminare totalmente o almeno dalle aree del Porto Vecchio, per poi poterle assegnare alla città. Il trasferimento del regime di porto franco dai depositi storici del vecchio scalo, inutilizzabili per le operazioni portuali, ad aree portuali e retro portuali funzionalmente collegate al porto è una soluzione forse formalmente non perfetta, ma che arriva allo scopo.

Quali sono a tuo parere le condizioni che hanno aiutato il raggiungimento di questo obiettivo in questa forma ?

Questa soluzione sarebbe rimasta puramente teorica senza due ulteriori passaggi: la nomina di Zeno D’Agostino a commissario dell’Autorità Portuale prima e presidente dell’’Autorità di Sistema Portuale dopo e l’istituzione, appunto, dell’Autorità di Sistema Portuale con la legge del 2016. Pensate cosa sarebbe successo se avessimo avuto un’autorità portuale unica con il porto di  Venezia, o se invece di una persona competente come l’attuale presidente avessimo avuto una persona totalmente inesperta ?




Se spetta a noi rispondere a questa tua domanda possiamo dirti che , come succede sempre in città, si sarebbe continuato a discuterne e magari ci sarebbe stata una ulteriore serie di convegni dedicati al tema. Convegni che sono da sempre una iattura per Trieste. Ma qual è il nodo principale, il fatto importante contenuto nel decreto attuativo ?

Anche se non stanzia neanche un centesimo di euro e non dà alle imprese alcuna possibilità di pagare meno imposte, il decreto attuativo ha un’importanza enorme, perché fissa in modo chiaro chi ha il potere di gestire, amministrare e promuovere il regime di porto franco. Il vuoto creatosi nel 1994 e, per alcuni aspetti, già con il passaggio dell’amministrazione civile del Territorio Libero di Trieste allo stato italiano, si colma e, direi, stracolma !

Perché definire il soggetto che amministra il porto franco è così importante ?

Spesso si confonde il porto franco con una zona franca oppure con un paradiso fiscale: non è né l’una, né l’altro. La sua unicità nell’Unione Europea lo rende difficile da capire a chi non ha approfondito la legislazione che ne è alla base da più di 300 anni. Pur essendo territorio dell’Unione Europea, è doganalmente posto al di fuori dell’Unione Europea. Questo, in un mondo globalizzato e informatizzato, non è un limite, ma un vantaggio ! Facciamo alcuni esempi. Una società turca rifornisce di parti di ricambio le imprese automobilistiche europee, che hanno bisogno di ricevere i ricambi in massimo 48 ore:  avendo il proprio magazzino al porto franco di Trieste, questa società può contemporaneamente mantenere la proprietà della merce, controllare il proprio magazzino, pagare il dazio d’importazione solo quando spedisce la merce a destinazione (tra l’altro dopo 180 giorni) e consegnare i ricambi in 24 ore. 

Paradossalmente se il porto franco fosse in un territorio al di fuori dell’Unione Europea non avrebbe lo stesso valore per gli investitori, perché non darebbe accesso diretto al mercato europeo. Ma andiamo oltre nel ragionamento.

Molto frequentemente viene citato il caso di una fabbrica di scarpe che nel periodo dell’amministrazione alleata lavorava in regime di porto franco; oggi, considerando il costo della manodopera italiana, credo che sia molto difficile che un imprenditore trovi conveniente fare un’attività di questo genere a Trieste. Ma ci sono spesso altre motivazioni, che vanno oltre al puro costo di produzione: una società cinese decide di commercializzare in Cina scarpe “Made in Italy” , ma la suola è marocchina, la tomaia è egiziana ed i lacci sono serbi:  le materie prime possono essere introdotte in porto franco senza pagare il dazio, e attraverso una lavorazione che attribuisca un valore aggiunto al prodotto finale sufficiente ad attribuirne l’origine italiana, la società cinese ha la sua scarpa  fatta in Italia, pur non avendo mai anticipato dazi e IVA all’importazione. Solo un porto franco incastonato in territorio italiano può garantire questo beneficio. E tra l’altro solamente sotto la vigilanza della Dogana nazionale, che deve certificare l’origine italiana del prodotto finito.

Questi due esempi sono chiari ma non rispondono alla nostra precedente domanda che ti riproponiamo. Perché definire il soggetto che amministra il porto franco è così importante ?

In questi ultimi 23 anni non era possibile nemmeno proporre agli imprenditori un’attività di questo tipo. In mancanza di un responsabile della procedura di autorizzazione delle attività di lavorazione industriale, la Dogana normalmente respingeva le richieste.  Quando un tribunale civile si è espresso, l’esistenza del regime di porto franco è sempre stata confermata, ma con  costi e tempi tali da far fuggire qualsiasi imprenditore.  Ora la procedura è chiara, il responsabile è l’Autorità di Sistema portuale, che ha anche il potere di individuare un’area dove fare questa attività e di gestire il regime di porto franco su quell’area, a garanzia del rispetto delle regole doganali europee.

E dopo il decreto attuativo quali saranno i prossimi passaggi ?

Ora tocca a noi ad immaginare quali sono le attività che meglio possono usufruire del regime di porto franco e a trovare gli imprenditori che decidano di farlo. Certamente, se ci fossero anche degli ulteriori incentivi fiscali sul reddito d’impresa e sul reddito dei lavoratori per le imprese insediate al porto di Trieste, sarebbe molto più facile portarvi idee imprenditoriali e capitali freschi. Credo che una fiscalità ridotta, ampiamente giustificata dal livello delle imposte in Austria e Slovenia, avrebbe la forza di catalizzare gli investimenti  di quanti sono interessati alle attività produttive e logistiche nella parte produttiva del porto, sia di quanti possono contribuire alla rinascita del   Porto  Vecchio.


Nota aggiuntiva da IL PICCOLO del 20 agosto 2017

La fabbrica di scarpe Lucky shoes

Inviato da augusto il Dom, 08/20/2017 - 12:15
Testo
Mille scarpe al giorno da spedire in USA
Da alcune dichiarazioni pubblicate sul New York Times nel 1970 e riportate da Il Piccolo del 20 agosto 2017, da parte di Thomas A McCann presidente dell'impresa calzaturiera Lucky shoes company: "Nel 1949 aprii la prima fabbrica italiana di calzature per il mercato americano. Da quel m omento la fabbrica di scarpe del Porto Franco, situato nell'attuale magazzino 26 ha contato più di 250 impiegati. Si parla di una produzione di circa 1000 paia di scarpe al giorno: ballerine, sandali, sportive. Quasi la totalità delle calzature veniva esportato negli Usa. Il materiale maggiormente usato fu la rafia, fibra naturale ricavata dalle palme del Madagascar.
Perchè aprire una fabbrica di scarpe a Trieste che produce per il mercato americano? Albert Saitz, direttore della fabbrica, l'ha spiegato in un intervista del 1951. " Per questo posto (la sede della fabbrica nel magazzino 26) paghiamo 90 dollari, me3ntre negli Usa spenderemmo circa 2000 dollari per le stesse cose. In più non abbiamo problemi di trasporto poichè siamo già in porto. Ed essendo Porto Franco non c'è bisogno di alcuna licenza" Anche gli operai locali e la loro capacità di imparare sono stati positivamente valutati da Saitz: disse che questi capivano in una settimana ciò che agli americani sarebbe servito mesi per imparare. 

(Dal The High Point Enterprise del 1951 citato da Il Piccolo del 20 agosto 2017


3 commenti:

  1. Chi xe l'analfabeta globale che ga scritto sta roba (non trovo un termine coretto per definirla...)?

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  2. ma come potete dire "Porto Franco incastonato nel territorio italiano" !?!?!?!? se neppure l'autorità portuale si permette di dirlo, usando l'assurda assunzione, che il Porto Libero di Trieste (che chiamano Porto Franco Internazionale) è territorio politico (?!?!?!) dello stato italiano pur di non dire esplicitamente che tutta la Zona A del TLT è TUTTORA in amministrazione provvisoria del Governo Italiano.
    Ma anche voi, siete interessanti e preparati, quando vi deciderete di accettare la verità e di parlare liberamente di PLT e TLT con i vantaggi fiscali derivanti?

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  3. Perchè negare l'evidenza?
    Nel decreto attuativo si parla ESPLICITAMENTE di sola amministrazione civile da parte del governo italiano su Trieste!

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