
MA E' PROPRIO DI UN PORTO OFFSHORE CHE HA BISOGNO IL NORD ADRIATICO ?
L'export non tira più
La de-globalizzazione alle
porte?
di Giancarlo Corò
Dal Rapporto ICE 2016,
L'Italia nell'economia internazionale, presentato oggi a Milano, arrivano
segnali di allarme sullo stato degli scambi commerciali. Nel 2015 il volume del
commercio mondiale si è infatti contratto rispetto all'anno precedente (-13% in
dollari correnti), riducendo perciò l'ammontare di quella componente di domanda
alla quale negli ultimi anni si era aggrappata l'economia italiana e, più in
generale, quella europea. Le esportazioni italiane
sono andare leggermente
meglio della media mondiale, stabilizzando la quota nazionale sul commercio
globale sul 2,8% (era il 4% negli anni '90).
Le importazioni sono comunque
calate più delle esportazioni, migliorando perciò il nostro saldo commerciale:
45 miliardi di euro nel 2015, che diventano 80 escludendo dal calcolo la
componente energetica. Tuttavia, anche questo dato va interpretato senza
eccessivi entusiasmi. Innanzitutto perché già nei primi mesi del 2016 gli
effetti del rallentamento globale si sono fatti sentire nelle nostre
esportazioni, calate rispetto allo stesso mese di un anno fa. Ma anche perché
non dobbiamo mai dimenticare che l'attivo commerciale comporta una
contropartita in termini di perdita di investimenti interni, in quanto una
componente del risparmio nazionale è costretta a finanziare i paesi in deficit
di parte corrente.
In ogni caso, il calo
dell'interscambio mondiale deve fare riflettere, in quanto colpisce fatalmente
le aree più aperte agli scambi, fra cui il Nord Est, da cui origina un terzo
dell'export italiano. Questo calo non arriva del tutto inaspettato. Da anni il
rapporto fra variazioni del commercio e dinamica del Pil mondiale andava diminuendo:
mentre negli anni '90 il Pil mondiale cresceva attorno al 3% all'anno,
l'interscambio di beni e servizi cresceva invece su valori prossimi al 7%.
Negli ultimi anni entrambe le variazioni si sono allineate sul valore di 2,5% e
le tendenze non sembrano destinate a migliorare questo rapporto.
Siamo dunque di fronte ad
un processo di de-globalizzazione? In realtà ci sono quattro fenomeni che hanno
concorso a questo risultato. Innanzitutto alcune crisi geo-politiche – le
sanzioni alla Russia, la guerra civile in Siria, i focolai di instabilità nel
Medio oriente, in Africa e nel bacino mediterraneo – che hanno ostacolato lo
sviluppo delle relazioni economiche internazionali. Poi il deprezzamento delle
commodity energetiche e delle materie prime, che hanno avuto un effetto
deflazionistico sugli scambi.
Ma ci sono anche fenomeni di natura più
strutturale, in particolare le politiche di sostituzione delle importazioni
praticate dalle principali economie emergenti, a partire dalla Cina, e un modo
sempre più integrato di produzione internazionale organizzato in catene globali
del valore. Le imprese più internazionalizzate tendono infatti a segmentare la
produzione in fasi distinte del processo produttivo, localizzando parte delle
operations manifatturiere ma anche di servizio nei mercati di destinazione per
rispondere sia a criteri di efficienza logistica, sia di vicinanza tecnica e
culturale con gli utilizzatori, siano essi business o consumer.
Questi processi tendono
dunque a ridurre gli scambi di merci fra Paesi, ma non rappresentano
necessariamente una de-globalizzazione. Semmai, costituiscono un nuovo modo di
essere nell'economia globale, con meno interscambio e più investimenti esteri.
Un ruolo che per molte Pmi è tuttavia difficile da interpretare. Gli
investimenti esteri sono infatti un costo fisso che richiede dimensioni
adeguate e, in particolare, dotazioni di capitale umano e capacità manageriali
che non si improvvisano.
L'Italia, e anche il Nord Est, hanno molta strada da
fare in questa direzione. Infatti, nel 2015 sia gli investimenti diretti esteri
in uscita, sia quelli in entrata, si sono ridotti in termini relativi. Far
crescere numero e dimensione multinazionale delle nostre imprese, assieme ad
una più convinta ed efficace politica di attrazione delle multinazionali
estere, dovrebbe dunque diventare una strategia fondamentale per adeguare la
nostra economia alle nuove tendenze globali.
Tra i fattori di
attrattività che il Rapporto ICE mette quest'anno in evidenza c'è in
particolare il ruolo delle aree metropolitane. Diversamente da come si è sempre
pensato, sono queste aree, più che i sistemi-paese, a svolgere una funzione
chiave nelle strategie localizzative delle multinazionali. Vale anche per
l'Italia, considerato che Milano e Roma concentrano da sole oltre metà di tutti
gli addetti delle imprese estere presenti nel Paese. Anche questo, dunque, è un
tema sul quale nel Nord Est sarebbe utile agire con più convinzione.
martedì 12 luglio 2016
Nel mese di giugno, le esportazioni sono diminuite del 4,8
per cento su anno, mentre le importazioni sono diminuite dell'8,4 per cento in
termini di dollari statunitensi.
LE MEGANAVI E IL NORD
EUROPA
Secondo dati Dynamar, presentati dall’analista senior e consulente nello shipping Dirk Visser all’ultimo evento TOC Container Supply Chain ad Amburgo, nel 2015 c’erano 21 servizi settimanali fra Asia e Nord Europa che impiegavano 229 nav con una capacità totale di 2,9m TEU, equivalent ad una misura media di nave pari a 12.700 TEU, offrendo 96 toccate, 10 delle quali sono doppie toccate.
Secondo dati Dynamar, presentati dall’analista senior e consulente nello shipping Dirk Visser all’ultimo evento TOC Container Supply Chain ad Amburgo, nel 2015 c’erano 21 servizi settimanali fra Asia e Nord Europa che impiegavano 229 nav con una capacità totale di 2,9m TEU, equivalent ad una misura media di nave pari a 12.700 TEU, offrendo 96 toccate, 10 delle quali sono doppie toccate.
Il confronto con
quest’anno, ha detto Visser, riporta 17 partenze settimanali con 188 navi. La
capacità totale è 2,73m TEU, il che fa schizzare la capacità media a 14.500 TEU
per nave, mentre le toccate si sono ridotte a 82 a settimana, 9 delle quali
sono doppie toccate.
Con volumi sostanzialmente
piatti, questa transizione fa capire che la merce si sta concentrando su navi
più grandi; questa tendenza viene descritta da Filip De Groote, responsabile
trasporti Black & Decker per la regione EMEA (Europa, Middle East, Africa
ndr.) come “un effetto che disturba i nostri approvvigionamenti a destinazione,
dato che notiamo un maggiori numero di lotti in arrivo (allo stesso tempo
ndr.)”.
Aggiunge: “Per noi Anversa
è un porto molto importante; navi più grandi stanno creando congestione sulle
banchine, ai varchi portuali e sulle strade attorno alla città – in prospettiva
la situazione di Anversa è terribile”.
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