MSC nel TMT e la tempesta cinese
19 settembre 2015
Intervista a Pierluigi Maneschi
L’analisi a tutto campo della situazione mondiale dopo le
svalutazioni dello yuan e i riflessi sullo shipping – Le nuove prospettive del
terminal portuale triestino con Marinvest
TAIPEI - Dall’altra
parte del pianeta, dove lavora ormai quasi quanto nella sua patria d’origine,
Pierluigi Maneschi ha ovviamente una visione globale dei grandi problemi dello
shipping mondiale, anche in relazione alle attuali tempeste monetarie innescate
dal colosso Cina. Lo abbiamo raggiunto in partenza verso l’Italia chiedendogli
una valutazione sui suddetti temi, con
gli eventuali riflessi per l’Italia dove
l’imprenditore è stato uno dei protagonisti (oggi assai amareggiato) dei
tentativi di determinanti investimenti globalizzati su Taranto e Trieste.
Sui due porti Maneschi ha preferito non pronunciarsi.
Comprensibile la sua amarezza, visto che entrambi i porti, dove a lungo ha
investito e programmato, hanno condiviso la sorte di veder scappare alcuni dei
maggiori terminalisti mondiali. Da Trieste è scappato in passato ECT di
Rotterdam, successivamente nell’orbita di Hutchinson di Hong Kong. Da Taranto
di recente se n’è andata con il conseguente sconquasso la stessa Hutchinson
(ovvero il più grande operatore terminalista portuale del mondo) che in
Mediterraneo e in Nord Europa continua ad operare con successo.
L’intervista è partita dalla notizia del recente ingresso di
Marinvest – una importante società italiana della holding MSC con molteplici
interessi portuali – nell’azionariato del TMT triestino.
Maneschi, l’operazione Marinvest è stata definita una
sorpresa per Trieste. In realtà era partita da tempo.
“Confermo, avevamo sottoscritto un primo accordo già nel
2008 che metteva loro a disposizione il 45% del TMT. Il subentro della grande
crisi internazionale con il relativo calo dei traffici ci persuase ad aspettare
tempi migliori, con la clausola a garanzia di entrambi che ciascuna delle due
parti poteva eventualmente recedere.
Poi, ultimamente, l’avvio dei nuovi
traffici con il servizio M2 ci ha convinti a riprendere in mano l’accordo e
concretarlo, anche nella prospettiva di eventuali importanti investimenti sul
terminal. Oggi le quote del TMT sono rispettivamente del 55% nostre e del 45%
di Marinvest, con la clausola condivisa che potremmo eventualmente arrivare
anche al 50% ciascuno”.
La “tempesta perfetta” scatenata dalla Cina in ambito
monetario si sta riflettendo anche sul trade mondiale. Ritiene che avrà
conseguenze anche sullo shipping? E di che portata?
Come già avvenuto in America ed Europa, nel passato, la
crescita esasperata dell’economia, genera speculazioni finanziarie che possono
portare ad episodi come quello cinese. E’ facile prevedere il riassetto delle
borse cinesi, perché il sistema di governo, così centralizzato, consente
manovre correttive immediate, che proteggono le grandi corporazioni. In un modo
o nell’altro tutta l’economia strategica cinese dipende dal potere centrale che
dispone di enormi riserve monetarie. Probabilmente, dopo aver drenato gli
interventi finanziari dei piccoli risparmiatori, che sono milioni di persone,
tutto riprenderà, come prima.
All’inizio ci sarà meno denaro a disposizione, ma i cinesi
sono molto operosi e presto torneranno a sorridere! I problemi dello shipping
non dipendono solo dalla Cina: l’economia mondiale cresce meno delle capacità
di trasporto delle navi, pertanto, i traffici non crescono e si crea squilibrio
tra la domanda e l’offerta
E’ stato sottolineato che l’agenzia cinese SAFE, che per conto
della banca centrale si occupa degli investimenti all’estero, ha bloccato già
da mesi i progetti di nuovi investimenti privati cinesi fuori dai confini.
Possono esserci a suo parere conseguenze anche per i grandi progetti nel
Mediterraneo?
Il governo cinese ha deciso di promuovere ulteriori
investimenti esteri, in Cina. Se ciò non avviene, dovrà sostituire tali
investimenti con quelli locali, sia pubblici che privati, ne consegue un
rallentamento delle acquisizioni cinesi all’estero.
Si è parlato di recente anche di fusioni in vista tra
importanti vettori della Cina in campo marittimo. Tutto questo può creare
elementi di tensione in un mercato che oggi soffre di eccesso di offerta di
stiva o rappresenta un’opportunità di razionalizzazione e di semplificazione
anche per le altre grandi compagnie del far East, a cominciare da quelle di
Taiwan?
Le fusioni nel settore marittimo rappresentano un fenomeno
abbastanza ricorrente, ricordiamoci che le due compagnie sono controllate dal
governo centrale, pertanto ci potrebbero essere motivi economici, ovvero anche
politici. Si tratta di due realtà molto importanti, che a mio parere, possono
continuare sia separate che unite, l’eventuale fusione non cambierebbe il
panorama marittimo mondiale, nell’intenzione di chi ha ipotizzato la fusione,
ci potrebbero essere motivi di difficile interpretazione per noi occidentali.
Ultima domanda: si attende la riforma della legge 84/94 che
a suo tempo lei ci definì come sostanzialmente buona.
“Quella legge fu in effetti una buona legge per i suoi
tempi, ma male interpretata e peggio applicata da molte delle amministrazioni
portuali. Mi auguro che il ministro Delrio riesca, anche con il supporto delle
nuove normative, a modificare certe attitudini portuali nostrane che ostano ai
grandi investimenti privati sui terminal. Sperare è sempre possibile, anche se
qualche volta richiede un grande sforzo di volontà”.
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