mercoledì 16 settembre 2015

IMPARIAMO DA GENOVA - INTERVENTO DI SERGIO BOLOGNA


14 settembre 2015  -  Milano  - Questa mattina, nella sede di Assolombarda, ha preso il via il convegno dal titolo 

“Milano riscopre il suo porto: perché Genova è la scelta più conveniente per le aziende lombarde”.    vai alla cronaca


COMMENTO DI SERGIO BOLOGNA 

Impariamo da Genova

Due giorni fa nella sede milanese dell’Assolombarda si è svolto un incontro tra operatori del cluster marittimo-portuale genovese e industriali lombardi. 

E’ stata presentata un’indagine, curata da Oxford Economics, che mette a confronto le performances dei grandi porti del Nord e quelle del porto di Genova nel periodo della crisi 2009-214. Non solo il tasso di crescita di Genova è stato maggiore ma in certi casi, vedi Bremerhaven,
Genova è stata superiore in termini assoluti! Se poi dovessimo aggiungere i dati del primo semestre del 2015, vedremo che Genova surclassa certi porti del Nord con un + 6,9% nei TEU (rispetto a un – 6,8% di Amburgo, pere esempio). 

I porti tedeschi, è vero, stanno pagando un prezzo molto alto alle sanzioni contro la Russia. Ma ciò non toglie nulla ai successi di Genova. Come sono stati ottenuti? Il merito principale, secondo gli interventi di ieri, va attribuito alle Dogane, che hanno fatto una vera e propria rivoluzione nel sistema ligure, accelerando enormemente le procedure, introducendo il preclearing ed i  corridoi doganali, permettendo così una forte integrazione tra porto e retroporti. 

Ma non bisogna dimenticare il forte impulso dato ai potenziamenti infrastrutturali che hanno permesso di aggiungere più di 1 milione di mq di piazzali e centinaia di metri di banchina. Il rinnovato interesse degli investitori internazionali per Genova proprio in questi giorni è venuto alla luce con l’annuncio dell’ingresso del fondo britannico Icon Infrastructures nel capitale di Spinelli e delle trattative in corso tra Messina e il fondo sovrano di Abu Dhabi, senza dimenticare i forti investimenti in gru di banchina e di ferrovia del VTE. Il punto dolente è ancora la ferrovia ma in questo si è lavorato alacremente sui gangli vitali del sistema, in particolare sul nodo di Campasso. Né si deve dimenticare che il gigantismo navale favorisce i porti maggiori e seleziona brutalmente quelli minori. Tuttavia ieri a Milano si è taciuto sul fattore fondamentale di questo rilancio del porto genovese.

Per capire questo fattore chiave occorre tenere presente in che condizioni si trovava Genova qualche anno fa con un porto pressoché paralizzato dalle iniziative della magistratura, scosso dall’arresto dell’allora Presidente Novi – poi riconosciuto non colpevole – e da una conflittualità interna ai gruppi dirigenti che non risparmiava esposti e denunce reciproche alla magistratura, in un clima di gelosie, sospetti e veti incrociati che provocavano molti più danni di quelli che avrebbe provocato uno sciopero prolungato. A un certo punto i figli di alcune di quelle famiglie che per decenni si erano combattute hanno deciso di dire “basta”, hanno costituito il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria ed hanno cominciato a ragionare con una visione d’insieme, con una visione del futuro. Uno degli artefici di questa operazione è stato l’attuale Presidente di Assagenti Gian Enzo Duci. E’ stato questo gruppo che ha portato Luigi Merlo alla Presidenza e Merlo, onore al merito, ha saputo interpretare benissimo il ruolo di facilitatore della coesione della comunità portuale – premessa questa indispensabile alla competitività di un porto (com’era già emerso nettamente, ricordo, da una ricerca che facemmo al CNEL nei primi anni del secolo, con il supporto della competenza e del prestigio di un Andrea Costa, già Presidente di Costa Crociere). 

Quindi sono importanti le infrastrutture ed i capitali ma sempre, nella storia, l’elemento determinante di un successo o di un insuccesso, è il fattore immateriale, quel misto di intelligenza, passione ed etica che ha segnato i destini dell’umana civilizzazione. Last but not least. 

Genova ha ottenuto questi risultati con un’organizzazione del lavoro che la maggioranza degli operatori e degli analisti considera obsoleta e dannosa agli interessi del business. 

A Genova sono ancora circa 900 i portuali della Compagnia Unica Merci Varie e una trentina quelli della Compagnia Pietro Chiesa. Ma questo numero, relativamente esiguo – ma ritenuto ridondante – fornisce circa il 45% delle ore lavorate nel porto, con una flessibilità che nessuna agenzia interinale sarebbe in grado di dare: sette chiamate al giorno via sms, entro 90’ il socio deve trovarsi sul luogo di lavoro. Numeri ridondanti, si dice, ma senza questi numeri come avrebbe fatto il VTE a luglio di quest’anno a far fronte alle punte di traffico causate dal gigantismo? Come avrebbe fatto a realizzare crescite a due cifre?

La lezione quindi che viene da Genova è soprattutto centrata su questi due fattori: il fattore ‘coesione’ della port community ed il fattore ‘rispetto’ per il lavoro flessibile. A Trieste mancano tutti e due, si procede in ordine sparso e del lavoro si conosce solo la deregolamentazione. Zeno d’Agostino e Mario Sommariva lo sanno e stanno lavorando bene nella direzione giusta per cambiare questa situazione. Ma quanti lo hanno capito?

Sergio Bologna
16 settembre 2015

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