14 settembre 2015 - Milano - Questa mattina, nella sede di Assolombarda, ha preso il via il convegno dal titolo
“Milano riscopre il suo porto: perché Genova è la scelta più conveniente per le aziende lombarde”. vai alla cronaca
COMMENTO DI SERGIO BOLOGNA
Impariamo da Genova
Due giorni fa nella sede milanese dell’Assolombarda si è svolto un
incontro tra operatori del cluster marittimo-portuale genovese e industriali
lombardi.
E’ stata presentata un’indagine, curata da Oxford Economics, che
mette a confronto le performances dei grandi porti del Nord e quelle del porto
di Genova nel periodo della crisi 2009-214. Non solo il tasso di crescita di
Genova è stato maggiore ma in certi casi, vedi Bremerhaven,
Genova è stata
superiore in termini assoluti! Se poi dovessimo aggiungere i dati del primo
semestre del 2015, vedremo che Genova surclassa certi porti del Nord con un +
6,9% nei TEU (rispetto a un – 6,8% di Amburgo, pere esempio).
I porti tedeschi,
è vero, stanno pagando un prezzo molto alto alle sanzioni contro la Russia. Ma
ciò non toglie nulla ai successi di Genova. Come sono stati ottenuti? Il merito
principale, secondo gli interventi di ieri, va attribuito alle Dogane, che
hanno fatto una vera e propria rivoluzione nel sistema ligure, accelerando
enormemente le procedure, introducendo il preclearing ed i corridoi doganali, permettendo così una forte
integrazione tra porto e retroporti.
Ma non bisogna dimenticare il forte
impulso dato ai potenziamenti infrastrutturali che hanno permesso di aggiungere
più di 1 milione di mq di piazzali e centinaia di metri di banchina. Il
rinnovato interesse degli investitori internazionali per Genova proprio in
questi giorni è venuto alla luce con l’annuncio dell’ingresso del fondo
britannico Icon Infrastructures nel capitale di Spinelli e delle trattative in
corso tra Messina e il fondo sovrano di Abu Dhabi, senza dimenticare i forti
investimenti in gru di banchina e di ferrovia del VTE. Il punto dolente è
ancora la ferrovia ma in questo si è lavorato alacremente sui gangli vitali del
sistema, in particolare sul nodo di Campasso. Né si deve dimenticare che il
gigantismo navale favorisce i porti maggiori e seleziona brutalmente quelli
minori. Tuttavia ieri a Milano si è taciuto sul fattore fondamentale di questo
rilancio del porto genovese.
Per capire questo fattore chiave occorre tenere presente in
che condizioni si trovava Genova qualche anno fa con un porto pressoché
paralizzato dalle iniziative della magistratura, scosso dall’arresto
dell’allora Presidente Novi – poi riconosciuto non colpevole – e da una
conflittualità interna ai gruppi dirigenti che non risparmiava esposti e
denunce reciproche alla magistratura, in un clima di gelosie, sospetti e veti
incrociati che provocavano molti più danni di quelli che avrebbe provocato uno
sciopero prolungato. A un certo punto i figli di alcune di quelle famiglie che
per decenni si erano combattute hanno deciso di dire “basta”, hanno costituito
il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria ed hanno cominciato a ragionare
con una visione d’insieme, con una visione del futuro. Uno degli artefici di
questa operazione è stato l’attuale Presidente di Assagenti Gian Enzo Duci. E’
stato questo gruppo che ha portato Luigi Merlo alla Presidenza e Merlo, onore
al merito, ha saputo interpretare benissimo il ruolo di facilitatore della
coesione della comunità portuale – premessa questa indispensabile alla
competitività di un porto (com’era già emerso nettamente, ricordo, da una
ricerca che facemmo al CNEL nei primi anni del secolo, con il supporto della competenza
e del prestigio di un Andrea Costa, già Presidente di Costa Crociere).
Quindi
sono importanti le infrastrutture ed i capitali ma sempre, nella storia,
l’elemento determinante di un successo o di un insuccesso, è il fattore immateriale, quel misto di intelligenza,
passione ed etica che ha segnato i destini dell’umana civilizzazione. Last but not least.
Genova ha ottenuto
questi risultati con un’organizzazione del lavoro che la maggioranza degli
operatori e degli analisti considera obsoleta e dannosa agli interessi del
business.
A Genova sono ancora circa 900 i portuali della Compagnia Unica Merci
Varie e una trentina quelli della Compagnia Pietro Chiesa. Ma questo numero,
relativamente esiguo – ma ritenuto ridondante – fornisce circa il 45% delle ore
lavorate nel porto, con una flessibilità che nessuna agenzia interinale sarebbe
in grado di dare: sette chiamate al giorno via sms, entro 90’ il socio deve
trovarsi sul luogo di lavoro. Numeri ridondanti, si dice, ma senza questi
numeri come avrebbe fatto il VTE a luglio di quest’anno a far fronte alle punte
di traffico causate dal gigantismo? Come avrebbe fatto a realizzare crescite a
due cifre?
La lezione quindi che viene da Genova è soprattutto centrata
su questi due fattori: il fattore ‘coesione’ della port community ed il fattore
‘rispetto’ per il lavoro flessibile. A Trieste mancano tutti e due, si procede
in ordine sparso e del lavoro si conosce solo la deregolamentazione. Zeno
d’Agostino e Mario Sommariva lo sanno e stanno lavorando bene nella direzione
giusta per cambiare questa situazione. Ma quanti lo hanno capito?
Sergio Bologna
16 settembre 2015
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