Poi la Coopca di Tolmezzo, in provincia di Udine.
Ora
il Mediocredito Friuli Venezia-Giulia, di cui nessuno parla però.
I
ruoli istituzionale di controllo e d'indirizzo della gestione
(specialmente questo secondo nel caso del Mediocredito) non sono di certo
le skill migliori della governatrice della Regione Fvg Debora
Serracchiani.
Rottamatrice numero due del nuovo Pd a
marchio Renzi e, maligna qualcuno, troppo impegnata, a Roma e negli studi
televisivi per la sua scalata al potere politico nazionale, per accorgersi
delle magagne che stanno esplodendo qua e là a Nordest.
C'è di più:
se fosse già diventata legge la delega sulla riforma Madia della
Pubblica Amministrazione in discussione ancora in Parlamento, norme
che puniscono con il commissariamento le società partecipate pubbliche locali
che chiudono tre bilanci consecutivi in perdita, individuando anche le
responsabilità di sindaci e di presidenti di Regione, la Serracchiani avrebbe
già pagato caro il suo non esser riuscita, come azionista di riferimento (con oltre
il 50% del capitale), a far ripartire in tempo la redditività del Mediocredito.
Finendo, anche formalmente, sul bancone degli imputati.
Si tratta di numeri e contorni più
piccoli, ma la poca accortezza nella gestione dell'istituto di credito speciale nato
a Nordest a fine anni '50 (addirittura prima della costituzione della Regione
Autonoma Fvg) non ha nulla da invidiare a quella che ha provocato il
progressivo indebolimento di alcuni grandi istituti nazionali.
Così, il
prossimo caso finanziario che potrebbe deflagrare in stile Mps o Banca Carige
(con pesanti ricapitalizzazioni per la Regione al termine di più esercizi in
perdita, in cui anche BankItalia ha dovuto inviare i propri
ispettori per indicare al management del Mediocredito Fvg il da farsi) non
accade al Sud o al Centro, come quello di Banca Popolare di Spoleto, ma
nell'operoso Friuli.
"Terra del buon governo" e di Pmi, dal
"glorioso" retaggio (amano dire da quelle parti) austro-ungarico,
spesso citata assieme al Veneto come esempio di economia funzionante nel
confronto con le altre zone del Paese e non certo terra di spreco di denaro
pubblico.
Denaro che al contrario, assieme a quello privato (che salvo errore
avrebbe dovuto rimanere nella Provincia di Trieste) investito dal 2003 in
Mediocredito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste,
secondo socio con il 34% e anche azionista di UniCredit, avrebbe
potuto essere riversato sul territorio regionale attraverso le erogazioni per
l'istruzione, lo sviluppo, la cultura e l'assistenza. Insomma, un conto
salato che in tutto si aggira nell'ordine di 150 milioni di
euro, mai contati.
La vicenda. Il Mediocredito Fvg,
istituto che al momento ha un solo "gemello" superstite in tutta
Italia (l'altro esemplare è in Trentino-Alto Adige), è specializzato sulla
carta nella valutazione prospettica delle aziende per concedere prestiti a
lungo termine. Solo sulla carta, però, perchè con lo scoppio della crisi
finanziaria mondiale del 2008, la recessione e la contrazione della domanda di
credito degli anni successivi e il moltiplicarsi delle sofferenze che ne hanno
azzerato negli ultimi tre anni l'utile netto per i necessari accantonamenti a
bilancio, si è messo a spingere sulla raccolta in stile Conto Arancio o
novello istituto che deve imporsi sull'agguerrito mercato del credito offrendo
rendimenti più alti rispetto alla media nazionale.
Finendo anche col mettersi a
fare concorrenza alle stesse banche azioniste (Friuladria, Federazione dei
Crediti Cooperativi, Cassa di risparmio del Fvg del gruppo Intesa, UniCredit,
Veneto Banca e Banca popolare di Cividale).
Il motivo? Incrementare i
volumi da destinare alle nuove attività sul breve senza rafforzare
parallelamente il patrimonio. Una strategia aggressiva che ha stravolto la
tradizionale mission per cui la banca regionale è nata, a cui
si è aggiunta la ciliegina sulla torta dell'abbandono di un altro business già
presente nelle proprie corde e alternativo al credito bancario come il leasing,
per abbracciare poi invece il credo dei prestiti a breve termine. Concessi,
però, con rischi maggiori.
Il tutto, con una piccola quadratura del cerchio
attraverso una sforbiciata alla parte fissa e variabile dei
salari dei propri dipendenti e nel silenzio assordante del principale azionista
ovvero la Regione Fvg che sembrerebbe aver appaltato dal 2004 la gestione e il
controllo alla Fondazione CrTrieste. Lasciando intendere di aver abdicato al
proprio sacrosanto diritto di dettare l'indirizzo industriale nella propria
controllata, di fatto, la Regione della Serracchiani è andata contro i propri
interessi: ha lasciato sprecate, cioè, le potenzialità del suo braccio
di corporate banking nel finanziare la ripresa dell'economia
regionale.
E così, se prima del 2009 il Mediocredito è stato un
gruppo performante con risultati reddituali in crescita che faceva capolino
anche nel tessuto industriale del vicino Veneto, gli utili dal 2009 in
poi si sono fatti sempre più risicati, facendo venire al pettine i nodi man
mano che sono cresciute le sofferenze, le rettifiche di valore e gli accantonamenti
per prestiti alle Pmi finite in default. Trend che ha
avuto il suo epilogo negativo nel 2012, quando il bilancio, per la prima volta
nella storia ultracinquantennale dell'istituto, si è chiuso con una perdita di
esercizio di 7 milioni (dopo 32 milioni di write-off;
18 nel 2009, 24 nel 2010 e 14 nel 2011).
Nel frattempo, anche su pressing della
Banca d'Italia che ha inviato a Nordest i suoi occhiuti ispettori,
la proprietà ha messo in cantiere due aumenti di capitale nel 2010 e nel
2012. Ricapitalizzazioni non sufficienti a cui ne è seguita una terza nel 2013
(dopo il nuovo rosso da 62 milioni e un altro blitz degli
arrabbiati controllori di Via Nazionale), da 100 milioni.
Aumento che la Regione, per non incappare nella censura di Bruxelles sui
vietatissimi aiuti di Stato, ha sottoscritto per la sua quota fino a un certo
punto, mentre la Fondazione guidata da Massimo Paniccia si è
defilata e ha iniziato a valutare la cessione del pacchetto azionario costato
al momento della sottoscrizione del capitale nel 2004 63 milioni di
euro (più le preziose risorse degli aumenti sottoscritti pro-quota
poi).
Cosa ha fatto allora la Serracchiani? E' uscita dall'empasse rastrellando
le risorse necessarie a rafforzare il patrimonio del Mediocredito con un prestito
obbligazionario da 50 milioni in cui ha imbarcato anche le
conterranee Assicurazioni Generali di cui non è chiaro il
disegno vista la focalizzazione sul core-business delle
polizze nella svolta Greco.
Il resto è storia di questi giorni. Nel preconsuntivo,
il gruppo ha fatto sapere che il 2014 si è chiuso ancora con un perdita che
dovrebbe aver dimezzato il risultato negativo del 2013 e nel nuovo piano
industriale il management avrebbe promesso il ritorno
all'utile nel 2016.
Nel frattempo, però, è arrivata la mazzata dell'agenzia
di rating Fitch che ha downgradatoMediocredito
(da "BBB+" a "B", perché le limitazioni previste
dalla Direttiva europea e dalle normative comunitarie in materia di aiuti di
stato "possono condizionare il supporto fornito dalla Regione alla banca
in un'eventuale situazione di stress severo") e il manifatturiero
nordestino, con circa la metà delle imprese colpita da chiusure,
ristrutturazioni e Cig, sta continuando a pagare un pesante tributo
alla crisi.
Forse, una strategia ancora incentrata sul solo territorio del
Fvg e non estesa invece fuori dai confini regionali (come fa il Mediocredito
del Trentino) a tutto il Triveneto non è la migliore assicurazione per
riportare la banca all'utile nei tempi previsti.
La Serracchiani potrebbe
capirlo. Se solo avesse la testa più in Regione, malignano a Trieste...
da AFFARI ITALIANI online del 25 aprile 2015
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