Parag Khanna: "Anche gli imperi cadono, il futuro è nella polis"
Parla il filosofo
della politica indiano, già consigliere di Obama: "Da Amburgo a Singapore,
vivremo in un sistema di città-stato interconnesse"
di ANNA
LOMBARDI 21 novembre 2017 vai al sito
"Il
futuro è già qui: entro trent'anni la politica mondiale sarà dominata da
macro-città, megalopoli influenti e così connesse fra loro da non doversi più
piegare al concetto di confine. Città- stato efficienti sul modello di quelle
antiche: dunque non necessariamente indipendenti ma con un'autonomia tale da
potersi impegnare in relazioni globali di cui beneficerà tutto il territorio
circostante ".
No, il
geopolitologo di origine indiana Parag Khanna, 40 anni e già un curriculum ricco
di bestseller e consulenze governative internazionali, non è un visionario
distopico.
Ex
consigliere di Barack Obama, analista del Centre on Asia and Globalization di
Singapore, nel suo ultimo saggio, La rinascita delle città-
stato, pubblicato in Italia da Fazi, vede le città come motore di
progresso e governabilità.
Da dove
nasce questa sua visione della polis?
"Le
polis, le macrocittà appunto, sono da sempre il luogo dove si danno risposte
pratiche a problemi ampi: gestione del territorio ma anche lavoro, ambiente,
educazione e così via. Non è qualcosa di astratto, succede già. Penso a
Singapore: città e stato. Ma anche ad Amburgo che esercita la sua influenza sul
mondo da 700 anni. A Dubai, che conta su una rete di relazioni d'affari pur non
essendo la capitale degli Emirati Arabi. E poi Istanbul, New York, Londra,
Milano. Senza dimenticare le province cinesi: il Guangdong, che ha uffici
ovunque e chiede voli che non passino da Pechino. Perché questo sistema
funzioni l'autonomia deve bilanciarsi con la condivisione delle rispettive
migliori pratiche di governo".
La
tecnocrazia diretta di cui parla nel libro? Lei fa gli esempi di Svizzera e
Singapore, ma non teme che siano troppo diverse da noi e che importare quei
modelli sia impossibile?
"La
tecnocrazia diretta è una forma di governo efficiente, capace di dare risposte
immediate. Non è un'alternativa alla democrazia che è il sistema all'interno
del quale ci muoviamo: istituzioni, leggi, burocrazia sono un'altra cosa. Certo
che non si può innestare il sistema di altri: bisogna declinarlo alle proprie
esigenze. Nelle scienze politiche si parla del "problema della
Danimarca", l'eccellenza cui tutti aspirano ma nessuno raggiunge. Bisogna
guardare a ciò che funziona altrove e usarlo come un menù: imparare da
Singapore, Svizzera, Canada, Giappone...".
Le pare
fattibile in un'Europa attraversata da pulsioni sempre più indipendentiste?
"Sì,
e proprio perché i movimenti indipendentisti guardano a città di
riferimento: Barcellona per la Catalogna, Edimburgo per la Scozia e così via.
Garantiscono identità e organizzazione tecnocratica".
Quello
che sta succedendo in Spagna non dimostra che polis e stati sono in rotta di
collisione?
"La
Catalogna è una buona idea finita male. Ho simpatia per i movimenti di autodeterminazione,
ma qui ha prevalso l'emotività. Madrid non può permettersi di perdere le
entrate fiscali catalane: la Spagna non reggerebbe. Ma bisogna trovare un
accordo che dia ai catalani più autonomia fiscale in cambio di una tassa
annuale per i servizi che Madrid fornisce. Il governo spagnolo dovrebbe però
impegnarsi ad investire di più in infrastrutture come il corridoio costale
importantissimo per la Catalogna".
Tutta
questione di soldi? La gente parla di identità, di sovranismo contro globalismo.
"Ne
parlano i politici per i loro interessi: la gente non sa nemmeno che significa.
Nei paesi che funzionano è un dibattito che non esiste, basato su una falsa
dicotomia: nessuno è autarchico, tutto ha ormai dimensione globale".
E dunque?
E dunque?
"Io
la vedo così: crescere separati per stare insieme. Nessuno sopravvive da solo,
ma stati sempre più piccoli farebbero bene all'Europa perché vorrebbero stare
al suo interno. I catalani vogliono uscire dalla Spagna non dall'Europa: sanno
che se battessero moneta nessuno investirebbe. Vogliono dividersi per ragioni
fiscali. Dunque sì, è principalmente questione di soldi: l'identità viene dopo.
E poi sanno che più i paesi sono grandi più i governi sprecano o sono
corrotti".
L'Europa sembra perennemente in crisi, dilaniata da separatismi e populismi.
L'Europa sembra perennemente in crisi, dilaniata da separatismi e populismi.
"Io
vedo invece un futuro dinamico. Le crisi fanno bene all'Europa, nata proprio
dal superamento di crisi dopo crisi. Creano opportunità: ma poi bisogna
spiegarle alla gente. Nessun politico europeo, a parte Angela Merkel
che poi ha dovuto fare marcia indietro, ha detto che l'immigrazione serve,
perché senza immigrati chi pagherà le pensioni, chi si occuperà degli anziani,
visto il calo delle nascite? Si insegue l'onda emotiva, invece di
guidarla".
Non ha
sentito nessun politico dire certe cose, dunque: ma c'è qualcuno che le piace
di più?
"Mi
interessa Emmanuel Macron, l'unico capace di spiegare che la situazione non è
uno scherzo e a capire che la Francia è ormai troppo grande: bisogna
alleggerirne il sistema economico e politico. Anche Mark Rutte, il premier
olandese, è bravo, ha saputo imporre importanti tagli a dispetto delle
critiche. Ma nessuno va verso il "consenso depoliticizzato" che
sicuramente funziona: governi con ampie coalizioni, dove i politici si mettono
d'accordo su cose concrete da fare".
Anche
sotto la spinta pressante dei populismi?
"È
proprio questo il punto. I populisti al governo sono un disastro ovunque ma
bisogna capire che di destre, populisti e di chi ha votato Brexit non ci
libereremo con belle parole. Non sono irrazionali: pensano ai propri interessi.
È sbagliato metterla in termini di valori: che siano nazi, cristiani
oltranzisti, socialisti, hanno una visione. Dobbiamo capirla e lavorare su
quella. Il problema sono i migranti? Allora dobbiamo spiegare meglio che
l'immigrazione serve ma anche far leggi più restrittive perché chi entra non
abusi del suo diritto a star qui".
L'Italia
andrà al voto tra qualche mese.
"Mi
hanno cercato i Cinque Stelle, ma io lavoro solo con i governi e ho rifiutato
collaborazioni. Era ottima l'idea delle regioni metropolitane dell'ex premier
Matteo Renzi. Chi governerà deve lavorare in quella direzione: città che
mettono insieme risorse e competenze. Poi il vostro credito andrebbe coperto
con bond europei per permettervi
di
ristrutturare il debito. E dovete risolvere la questione immigrati. L'Italia
non può farcela da sola, ma i migranti vi servono per garantire un futuro al
paese. Un buon inizio sarebbe approvare lo Ius Soli. Le politiche che avete ora
non aiutano l'inclusione".
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